Cerca

Campo profughi siriano di Atme Campo profughi siriano di Atme 

Impegno per la rinascita materiale e spirituale della Siria

In Siria il conflitto è diminuito di intensità, ma la gente porta ancora con sé le ferite fisiche e spirituali di nove anni di guerra. Della situazione ci parla padre Firas Lutfì, siriano francescano di Terra Santa, intervistato a Gerusalemme, dove è in corso il convegno sugli 800 anni dal pellegrinaggio di pace di San Francesco in Terra Santa

Silvonei Protz – Gerusalemme

La sofferenza della Siria, dopo una guerra quasi decennale, è ancora evidente. Anche se in gran parte del territorio le armi tacciono, a parte la zona di Idlib, dove sono ancora asserragliati gruppi jihadisti con circa 30 mila combattenti, la popolazione civile rimane ancora duramente colpita dalle conseguenze del conflitto. Ad aggravare la situazione ci sono ora anche le sanzioni internazionali, che spesso, anziché rivolgersi sul regime di Damasco o i responsabili delle violenze, si ripercuotono sulla gente, che non riesce a ricostruirsi una vita normale. La testimonianza del padre francescano, Firas Luftì, siriano, conferma le difficoltà di una popolazione, che deve ritrovare una dimensione materiale e spirituale.

Ascolta l’intervista con padre Firas Lutfì

R. – Attualmente, la vita è molto dura, in Siria. E’ vero che in alcune zone le armi tacciono, però, ecco, dobbiamo tener conto di una realtà di guerra che è durata nove anni: quindi, una distruzione massiccia, case demolite, quartieri interamente in rovina, chiese che necessitano di un intervento per la ricostruzione … e certo, una popolazione di 23 milioni prima della guerra: la metà non c’è più, tra morti, profughi e un Paese in ginocchio dal punto di vista demografico. I giovani non ci sono più, sono tutti scappati; i bambini e le donne hanno subito gravi traumi psicologici a causa di questi anni di guerra e di grandi sofferenze, e inoltre le sanzioni economiche imposte alla Siria, pensando di colpire i responsabili della guerra mentre invece colpiscono la gente normale, gli innocenti e i più poveri.

Da noi arrivano sempre notizie anche dei bambini …

R. – Noi, per i bambini, abbiamo cercato di creare un progetto chiamato “Arte terapeutica”, che è un modo per aiutare i bambini a recuperarsi da quel trauma psicologico che li ha toccati profondamente. Quindi, “Arte terapeutica” è un grande centro nel quale si fa musica e sport – perché questi bambini durante la guerra non potevano né giocare, né uscire di casa, né studiare … Poi, c’è anche il teatro … insomma, è quello che diceva Dostojewski: la bellezza salva e salverà il mondo; noi l’abbiamo concretizzato mediante un progetto di esperti in psicologia e in arte per aiutare questi bambini. Sapete quanti erano i bambini che hanno frequentato il nostro centro, solo questa estate? 1.000 bambini! Quindi abbiamo cercato di aiutare, almeno durante l’estate, mille bambini a trovare un senso diverso e profondo per la loro vita, per la loro esistenza.

La parte spirituale di queste persone … bisogna ricostruire tutto …

R. – Sì, perché durante una guerra nascono le grandi e difficili domande: perché noi? Perché Dio ha permesso che noi soffrissimo? E cosa abbiamo fatto di male per essere castigati? E perché devo pagare io le conseguenze delle alleanze tra cattivi? Se loro vogliono combattere, perché fanno questa guerra e combattimenti nel mio terreno, nella mia casa e nella mia patria? Sono domande difficili … noi non abbiamo i mezzi per rispondere, e comunque non abbiamo risposte sufficienti. Però, secondo me, vale la pena cambiare prospettiva: come posso io essere oggi le mani e le braccia di Gesù sofferente, i piedi di Gesù e soprattutto il cuore di Gesù, che ama e accoglie l’altro?
 

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

01 ottobre 2019, 12:47