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Cile, uno degli incendi appiccati alla metropolitana di Santiago Cile, uno degli incendi appiccati alla metropolitana di Santiago 

Cile, i vescovi: c'è un profondo malessere che va compreso

Dopo quattro giorni di mobilitazioni di massa, atti di vandalismo e violenze che hanno causato la morte di una decina di persone, centinaia di arresti e decine di feriti tra le forze dell’ordine a Santiago e in altre città del Paese, la Chiesa cilena chiede di assumersi le proprie responsabilità e cercare soluzioni con la partecipazione dei cittadini

Vatican News - Città del Vaticano

Sono stati giorni di violenza inusuale, ma sono solo il corollario di decenni di un sistema socioeconomico crollato in Cile venerdì 18 ottobre scorso. Alle manifestazioni collettive degli ultimi anni che chiedevano miglioramenti nei settori della salute, del lavoro, delle pensioni, dell'istruzione, delle case e dei trasporti è seguita, nell'ultima settimana, una massiccia azione insurrezionale per eludere il pagamento del biglietto della metropolitana che era stato riadattato. Questa è stata la scintilla che alla fine ha acceso l'atmosfera e ha fatto esplodere atti di violenza in diversi settori di Santiago, la moderna capitale del Paese, ma anche una delle città socialmente più segregate e con maggiori diseguaglianze dell'America Latina. Il primo giorno la protesta ha lasciato più di 14 stazioni della metropolitana distrutte, oltre a edifici, locali commerciali e strutture pubbliche bruciate con, ancora ieri, diverse persone rimaste vittime negli incendi scoppiati un po' dovunque, frutto di gruppi vandalici che, rivendicando la lotta per la giustizia, hanno distrutto soprattutto infrastrutture utili per i più svantaggiati.

Stato di emergenza

La reazione del governo è stata tardiva e mentre aumentavano i disordini nelle strade principali, nelle reti sociali le critiche della leadership politica si sono aggravate contro il potere esecutivo e contro il Congresso della Nazione. Così, in poche ore gli atti di violenza si sono moltiplicati in diverse città del Cile, assieme a centinaia di mobilitazioni sociali spontanee in diversi quartieri. Attraverso manifestazioni pacifiche chiamate "cacerolazos", durante le quali le persone fanno suonare le pentole, è diventato evidente che, senza giustificare la violenza, la società cilena è stanca dell'iniquità che ha impedito che il rinomato sviluppo economico del Paese renda migliori le condizioni di vita per i cittadini. Soprattutto per coloro che vivono nelle periferie territoriali ed esistenziali.

Per ristabilire la sicurezza e l'ordine sociale, il presidente della nazione, Sebastián Piñera, ha decretato venerdì scorso lo stato di emergenza per alcune città. E sebbene la misura sia stata applaudita da coloro che chiedono una mano dura contro la delinquenza delle ultime ore, contro incontrollabili saccheggi di supermercati, banche e distribuzioni pubbliche, per altri questa decisione è stata come spegnere il fuoco con la benzina. Soprattutto perché quella cilena è una società che non si è ancora ripresa dai duri anni di repressione durante la dittatura culminata nel 1990.

La voce dei vescovi

Nelle ore precedenti il primo coprifuoco decretato dal governo, che ha limitato la circolazione pubblica il sabato sera, i vescovi cileni hanno rilasciato una dichiarazione. In essa hanno descritto gli eventi recenti come dolorosi e traumatici e hanno riconosciuto che essi “fanno parte di un processo che stiamo attraversando da decenni e che ha conseguenze profondamente umane che non possiamo ignorare”. Per questo motivo, oltre a condannare vigorosamente la violenza, hanno lanciato un appello a unire le volontà delle autorità e dei leader sociali per comprendere lo scenario complesso e cercare soluzioni. Tuttavia, hanno sottolineato che ciò deve avvenire con la partecipazione della maggioranza dei cittadini. I pastori della Chiesa cattolica del Cile, anche parlando in prima persona, hanno affermato che coloro che esercitano la leadership nel Paese devono “comprendere il profondo disagio delle persone e delle famiglie, colpite da misure inique e decisioni arbitrarie che riguardano la loro vita di ogni giorno e da pratiche quotidiane che considerano abusive, perché feriscono soprattutto i gruppi più vulnerabili”.

"La violenza uccide la pace"

Ore prima, l'amministratore apostolico di Santiago, monsignor Celestino Aós, ofmCAP, aveva trasmesso un video sui social network in cui affermava che “la pace del Cile è compito e responsabilità di ciascuno di noi. Una pace basata su verità, rispetto e giustizia. La violenza indebolisce e uccide la pace. Per questo motivo siamo tristi, siamo feriti, quando vediamo gli effetti della violenza di questi giorni”.

L'ultima azione presa dal governo è stata quella di fare un passo indietro nel riadeguamento della tariffa della metropolitana. Nel frattempo, le lezioni nelle scuole e nelle università sono sospese, i servizi di trasporto funzionano a malapena e il coprifuoco si sta diffondendo in altre città, secondo un modello di presenza militare e di polizia che a malapena scoraggia i fautori della violenza dalle loro scorrerie e i cittadini dalle loro manifestazioni pubbliche di dissenso.

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21 ottobre 2019, 11:07