76 anni fa il rastrellamento del ghetto di Roma. Intervista al sopravvissuto Piero Terracina

L’uomo, ebreo romano oggi novantenne, fu prigioniero per 6 mesi al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, dopo essere scampato al rastrellamento del ghetto di Roma

Andrea De Angelis, Franco Piroli – Città del Vaticano

L’emozione, la storia e le preoccupazioni per il presente, fatto di esseri finiti e fragili come quelli di quasi ottant’anni fa, si mescolano nel corso dell’intervista concessaci da uno degli ultimi ebrei italiani sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti. Il signor Piero Terracina, 91 anni il prossimo mese. “Noi ebrei eravamo considerati inferiori, ma siamo come tutti gli altri. Ancora oggi c’è chi, se fosse vissuto in quegli anni, avrebbe fatto parte degli addetti alla nostra eliminazione”. “L’unica consolazione – dice con un filo di voce – erano i compagni di prigionia. Uno di loro è come se fosse diventato per me un fratello”. 

La scrittura, le parole, lo sguardo

Mettere nero su bianco ciò che è successo aiuta, molto. Le pagine donate da Piero Terracina alla Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, istituzione culturale unica nel suo genere in Italia e con una specificità davvero rara nel mondo, sono al contempo l’esempio di come attraverso la scrittura si possa tornare in un attimo, testa e cuore, indietro di oltre tre quarti di secolo. A quel 16 ottobre del 1943, “quando – si legge negli scritti di Terracina, vincitore del Premio Città del Diario 2018 – le SS circondarono il ghetto di Roma, entrarono in tutte le case del quartiere spesso sfondando le porte. Portarono via tutti: sani, malati, vecchi vicini al traguardo della vita, neonati. Poi i veicoli della razzia si spostarono in altri quartieri della città, avevano precisi elenchi alla mano ed arrestarono tutti quelli che trovarono”. Le parole hanno un peso. Quei “vecchi vicini al traguardo” di allora emozionano l’anziano signore di oggi che ho davanti. Glielo si legge negli occhi, nello sguardo.

Piero Terracina
Piero Terracina

Scampato alla cattura, venne arrestato sei mesi dopo

“Il 16 ottobre la mia famiglia riuscì a scampare alla cattura, qualcuno ci aveva telefonato per informarci di quello che stava accadendo”, si legge ancora nelle pagine del diario. Quel giorno Roma scrisse una delle pagine più buie della sua storia, ma c’è chi, come il quindicenne Piero, riuscì a scampare alla cattura. Sei mesi più tardi, però, l’arresto di lui e della sua famiglia. Partiamo da questo ricordo. La voce è ferma, ma l’emozione la vince quando pensiero va alle parole pronunciate dal padre ai figli al carcere di Regina Coeli. “Dignità! Potranno succedervi cose molto brutte. Abbiate sempre dignità”. Quando poi uscirono dal carcere e si ritrovarono in strada, circondati dalle SS, pensarono alla fucilazione. “Al primo sparo io mi butto sopra di te – gli disse ancora il padre -, tu non muoverti. Non muoverti! Ti coprirò io e ti rialzerai quando non sentirai più nessun rumore”. In realtà la famiglia di Piero non venne uccisa quel giorno: la attendeva il lungo viaggio in treno verso la Polonia. Prima, però, il campo di concentramento italiano in Emilia Romagna. Ad Auschwitz sarebbero arrivati solo nel maggio del 1944.

“Prima ci divisero in file, poi ci spogliarono”

Fu un viaggio terribile, dove i più giovani rimasero in piedi per giorni. La carenza di acqua faceva disperare i più grandi e piangere incessantemente i bambini. “Quando a metà viaggio con gli idranti pulirono le carrozze, ci fu un po’ di sollievo”, ricorda Terracina, non dimenticando il minimo dettaglio di quel viaggio lungo quasi una settimana. Appena arrivati ad Auschwitz, videro nel campo di concentramento gli uomini delle SS, ognuno con un cane al guinzaglio ed un bastone. Furono divisi, prima in uomini e donne, poi per età. “A salvarmi la vita fu un interprete, che mi chiese quanti anni avessi. Dissi 15, mi ordinò di rispondere 18”. Piero Terracina lavorò per mesi, poi la liberazione. Nel frattempo morirono, ad uno ad uno, tutti i suoi familiari. Il fratello si arrese alla fame, fu ritrovato privo di vita dal compagno di stanza, sotto le coperte del suo letto. Senza più cibo per sopravvivere. Il primo giorno il quindicenne Piero, come tutti gli altri deportati, venne immediatamente spogliato. “Il mio nome era un numero, che porto sempre sull’avambraccio. Ci schedarono, completamente nudi. Nudi”.

Piero Terracina
Piero Terracina

“Apparteniamo tutti al genere umano”

“Ebrei, cattolici, protestanti, musulmani: apparteniamo tutti al genere umano”. Conclude così la sua intervista il novantenne ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti. Lo fa subito dopo aver ricordato l’incontro con Papa Francesco, alla Sinagoga di Roma, nel gennaio del 2016. “Volle salutare i deportati sopravvissuti di persona, ad uno ad uno. Eravamo già pochi, solo cinque e gliene siamo grati. “Ancora oggi – aggiunge citando il recente attentato di Halle – c’è chi è antisemita, ma anche chi attacca altre religioni. Sono nostalgici del passato, gente che se avesse vissuto allora avrebbe fatto parte di quelli che erano addetti all’eliminazione di chi era considerato inferiore”. “Noi ebrei eravamo considerati inferiori, ma – conclude – eravamo come tutti gli altri”.

Ascolta l'intervista a Piero Terracina

Il ricordo di quel 16 ottobre 1943

Sono passati 76 anni. Il rastrellamento del ghetto di Roma fu una retata di 1529 persone, di cui oltre la metà donne. Più di duecento erano bambini e bambine. Furono 1023 i deportati, solo 16 di loro tornarono nella capitale. L’unica donna, Settimia Spizzichino, è morta nel 2000. Il rastrellamento iniziò prima delle luci dell’alba, alle 5:15 del mattino. A Roma pioveva. Due giorni dopo, alle 14:05, diciotto vagoni piombati partirono dalla stazione Tiburtina. Impiegarono quasi una settimana per arrivare in Polonia, al campo di concentramento di Auschwitz. Lo scorso anno, in occasione del 75° anniversario, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, affermò: “Davanti all'Olocausto, abisso della storia, torniamo ad inchinarci. Le lezioni più tragiche della storia vanno richiamate alla conoscenza e alla riflessione delle giovani generazioni”.

Le parole di Papa Francesco

Pochi giorni dopo, ricevendo in udienza un gruppo di delegati del World Congress of Mountain Jews provenienti da diversi Paesi del Caucaso, Papa Francesco volle ricordare quel 16 ottobre che ferì in modo indelebile la città di cui il Pontefice è vescovo. “Commemorare l’olocausto è necessario, perché del passato resti una memoria viva. Se non impariamo dalle pagine più nere della storia a non ricadere nei medesimi errori, la dignità umana – disse il Papa - rimarrà lettera morta. Quando si è voluto sostituire il Buon Dio con l’idolatria del potere e l’ideologia dell’odio, si è arrivati alla follia di sterminare le creature. Perciò la libertà religiosa è un bene sommo da tutelare, un diritto umano fondamentale, baluardo contro le pretese totalitariste. Ancora oggi, purtroppo, atteggiamenti antisemiti – proseguì Francesco - sono presenti. Come più volte ho ricordato, un cristiano non può essere antisemita. Le nostre radici sono comuni. Sarebbe una contraddizione della fede e della vita. Insieme siamo invece chiamati a impegnarci perché l’antisemitismo sia bandito dalla comunità umana”.

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16 ottobre 2019, 12:16