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Rapporto IPCC sul clima: ghiacciai condannati

Secondo le stime del gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu, l’80% dei ghiacciai europei è a rischio estinzione entro la fine del secolo, e lo stesso vale per numerose aree del mondo

Federico Francesconi – Città del Vaticano

Oltre all’Europa, rischiano di perdere i loro ghiacciai anche il Caucaso, l’Asia settentrionale, la Scandinavia, le Ande tropicali, il Messico, l’Africa orientale e l’Indonesia. Insomma, secondo il rapporto di Ipcc tutto il mondo è a rischio e i danni potrebbero essere molteplici. Nelle aree montuose i pendii si faranno meno stabili aumentando il rischio di frane e la dimensione dei laghi glaciali è destinata ad aumentare. Secondo lo studio, “ è previsto che aumentino i rischi di disastri agli insediamenti umani e ai mezzi di sussistenza a causa di futuri cambiamenti nei rischi di inondazioni, incendi, frane, valanghe, condizioni inaffidabili di ghiaccio e neve e aumento dell'esposizione di persone infrastrutture". Una situazione che rischia di causare disagi non indifferenti al turismo e ai servizi nelle aree montuose, e a lungo termine anche sulle coste, colpite dall’innalzamento del livello del mare.

Qualche dettaglio sulle stime

Il rapporto di Ipcc raccoglie le opinioni degli scienziati incaricati dall’Onu di studiare il riscaldamento globale per fare fronte all’emergenza climatica. Il documento, incentrato sullo stato degli oceani e delle calotte di ghiaccio, raccoglie i risultati di più di settemila ricerche scientifiche e sottolinea un’accelerazione dello scioglimento dei ghiacci e dell’innalzamento del livello del mare, dovuti entrambi principalmente all’azione dell’uomo sull’ecosistema.

Per quanto riguarda gli oceani, il rapporto afferma che hanno continuato a diventare progressivamente più caldi a partire dagli anni settanta, senza una battuta d’arresto, e che negli ultimi trent’anni questa azione di riscaldamento ha subito una forte accelerazione, dovuta all’assorbimento del 90% del calore aggiuntivo causato dalle emissioni di gas serra.

Essendo più caldi, gli oceani son aumentati di volume, causando un consistente aumento del livello del mare, incrementato anche dallo scioglimento dei ghiacci.

La calotta polare antartica infatti ha continuato a ridursi e tra il 2007 e il 2016 la perdita di ghiaccio si è triplicata rispetto ai dieci anni precedenti, senza dare segni di interruzione. Lo stesso vale per il permafrost che ricopre il terreno di aree come la siberia e il nord del Canada, che – se il livello delle emissioni rimarrà costante – si ridurrà del 70% entro la fine del secolo.

Quei ghiacciai a cui facciamo già il funerale

Il problema dello scioglimento dei ghiacci riguarda anche le vette di moltissime catene montuose, il cui scioglimento potrebbe in futuro significare una seria difficoltà di accesso alle riserve idriche che finora hanno fornito i ghiacci perenni.

Pochi giorni fa un centinaio di manifestanti si è riunita sul ghiaione del Pizol, nel cantone di San Gallo, per celebrare il funerale del ghiacciaio; infatti il picco ha perso così tanto ghiaccio che dal punto di vista scientifico non è più considerato un ghiacciaio vero e proprio. Questa “celebrazione” arriva nel contesto della settimana globale d’azione per il clima, che culminerà questo venerdì con il 3° Global Strike for Future, ma ce n’era già stato uno, in Islanda questo agosto, sul monte Okjokull.

Tra i ghiacciai a rischio c’è anche il Monte Bianco e a Courmayer è stata chiusa una strada, poiché secondo i tecnici della regione Valle d’Aosta una parte del ghiacciaio Planpincieux, situato poco più in alto, rischia di crollare, precipitando una fetta dei suoi 250 metri cubi di volume sull’asfalto. Questa previsione si basa sull’accelerazione del movimento della massa del ghiaccio della zona, e la chiusura della strada sottostante è una misura cautelare, ma il giorno del funerale dei ghiacciai del Monte Bianco potrebbe starsi avvicinando pericolosamente.

Cosa si può fare per limitare i danni

“La cosa più importante è l’informazione, tutti devono essere a conoscenza delle cause di questa situazione; poi è necessario agire per investire su forme di energia che non si basino su combustibili fossili” lo ha spiegato a Radio Vaticana il glaciologo Renato Colucci dell’Istituto di Scienze marine di Trieste.

Ascolta l'intervista a Renato Colucci

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26 settembre 2019, 13:52