La storia di Martinho: le ferite del Mozambico guarite con il perdono

In vista del viaggio apostolico di Papa Francesco in Mozambico, da oggi fino al 6 settembre, riportiamo la testimonianza di Martinho Mateus da Silva, fondatore ed ex presidente dell’Associazione della comunità mozambicana in Italia

Paul Samasumo - Città del Vaticano

“Mio padre è morto durante la guerra civile. Fu bruciato in una macchina. L’hanno ridotto in cenere, non abbiamo nemmeno visto il suo corpo. Ma non c’è stato solo lui”. Martinho Mateus da Silva, fondatore ed ex presidente dell’Associazione della comunità mozambicana in Italia, racconta il dramma che ha coinvolto tutta la sua famiglia. “Ho perso anche molti zii e parenti durante la guerra. Molti mozambicani hanno lasciato il Paese e sono finiti come rifugiati nello Zimbabwe, nello Zambia, nel Malawi e in Tanzania. La nostra famiglia non è andata in un campo profughi. Siamo rimasti a casa, ma la nostra vita da bambini è trascorsa scappando dalla nostra piccola località di InhaIania Barue (provincia di Manica) verso la foresta, dove ci nascondevamo per paura dei combattimenti o di essere catturati”. La visita del Papa pertanto assume un significato particolare per tutti i mozambicani, grati a Francesco per aver scelto di dare voce al loro dolore e alle loro lotte.

Martinho Mateus da Silva con la famiglia e amici nella parrocchia di Sant'Anna, in Vaticano
Martinho Mateus da Silva con la famiglia e amici nella parrocchia di Sant'Anna, in Vaticano

Un bambino incapace di giocare

Martinho è una persona amichevole e socievole, dal sorriso rilassato e caloroso. Parla quattro lingue europee. Lavora per il Vaticano e ha trascorso in Italia gli ultimi 15 anni. E’ sposato con una keniota e hanno tre figli. Nonostante questo apparente successo, nel cuore di Martinho sono sempre vive le cicatrici di una guerra civile brutale e di un’infanzia rubata. “Non ho mai avuto l'opportunità che hanno tanti bambini piccoli di giocare ed essere spensierato come loro. Molti dei nostri vicini e dei nostri parenti – spiega con uno sguardo che tradisce un dolore sordo - sono morti durante la guerra civile”.

Sono sopravvissuto per la grazia di Dio e per la nostra madre

“È stato solo grazie e Dio e a mia madre che sono riuscito a sopravvivere”, confessa Martinho, raccontando della forza e dell’intraprendenza della mamma capace di tenere in vita la famiglia, insistendo perché i figli andassero a scuola nonostante tutto. “Non avevamo nulla perché avevamo perso tutto a causa della guerra. Mamma andava a cercare il cibo che ci permetteva di andare avanti”. Ancora oggi, Martinho non sa bene come sua madre sia riuscita a trovare per la famiglia quelle poche cose da mettere sotto i denti, sfidando la guerra e quella siccità implacabile che ha colpito l'Africa meridionale negli anni Novanta. Le cose non sono sempre andate bene. “La maggior parte delle volte siamo rimasti senza cibo. Spesso mangiavamo solo una volta al giorno. I negozi più vicini dove si poteva comprare qualsiasi cosa erano nello Zimbabwe, oltre il confine, a quasi 100 chilometri di distanza. Era un viaggio pericoloso da fare. Uno poteva restare ucciso o finire catturato lungo la strada e c'era sempre anche il pericolo di mine anti-uomo”.

Martinho Mateus (a destra), con il presidente del Mozambico Filipe Nyusi (al centro)
Martinho Mateus (a destra), con il presidente del Mozambico Filipe Nyusi (al centro)

La guerra in Mozambico

Il Mozambico ha ottenuto l'indipendenza nel 1975 dal Portogallo. Ma l'euforia dell'indipendenza è evaporata presto. Poco dopo è scoppiata una guerra civile tra forze governative, Frelimo, e il movimento ribelle dell'opposizione, Renamo. Si è rivelata una guerra amara oltre che troppo lunga. Un milione di persone sono morte nei sedici anni dei combattimenti, alcuni per fame ma migliaia per le ferite o le mutilazioni causate dalle mine anti-uomo. Cinque milioni di cittadini sono stati costretti a fuggire dalle loro case. L'accordo di pace di Roma del 1992, mediato a livello internazionale, ha posto fine ufficialmente alla guerra civile. Nel complesso, il Mozambico è tornato a una forma di pace e normalità, anche se al fondo un’atmosfera di tensione è sempre rimasta. Nel 2013, Renamo è stato accusato di aver attaccato autobus, treni e strutture. Il governo ha reagito con forza e a un tratto la nazione è sembrata a tutti gli effetti sull'orlo di una nuova guerra civile.

Un nuovo accordo di pace nazionale per il Mozambico

Adesso non c'è terreno fertile per la guerra in Mozambico, anche Frelimo ha compreso che per far prevalere la pace ci vuole la condivisione del potere attraverso un governo decentralizzato o federale. I media locali affermano che il nuovo accordo di pace (firmato nell'agosto del 2019) è promettente perché è un'iniziativa locale. Mediatori internazionali della comunità di Sant'Egidio a Roma, l’ex presidente Jakaya Kikwete della Tanzania, Nazioni Unite, SADCC (Comunità di sviluppo dell'Africa meridionale), l’ambasciatore svizzero in Mozambico Mirko Manzoni, i mediatori Neha Sanghrajka e Jonathan Powell hanno dato un contributo. Ma alla fine è soprattutto un patto di pace nazionale e locale. È stato guidato dal presidente Filipe Nyusi e dal defunto leader di Renamo, Afonso Dhlakama; un dialogo proseguito anche con il nuovo leader di Renamo, Ossufo Momade.

Sorprenderemo Papa Francesco con la gioia

“Sorprenderemo Papa Francesco con la nostra gioia, specialmente durante la Messa nello stadio di Zimpeto – racconta Martinho - siamo felici perché sappiamo che lui andrà in Mozambico per confortare le persone e per portare pace e soprattutto speranza. Abbiamo bisogno di questo in Mozambico. Non abbiamo mai avuto veramente la pace, dai tempi coloniali nel 1964, quando iniziò la guerra di liberazione per l'indipendenza”.

Perdono, perdono, perdono

“Per i mozambicani della mia generazione e per i più anziani, alcuni rancori persistono ancora a causa della guerra e dei lutti subiti. Ma noi mozambicani abbiamo una responsabilità nei confronti della generazione del futuro. Dobbiamo perdonare e ricominciare da capo – conclude Martinho - le ferite guariscono col perdono”.

ULTIMO AGGIORNAMENTO: 4 settembre

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03 settembre 2019, 12:40