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Cinema: Premio Bresson a Lucrecia Martel e alla sua Argentina non scontata

Alla Mostra del Cinema di Venezia, la Fondazione ente dello spettacolo consegna il Premio Bresson alla regista argentina Lucrecia Martel, che è anche presidente della Giuria della Mostra. Il presidente Feds don Milani: “sa raccontare l’umanità ferita, oltre i suoi gesti, verso la trascendenza”

Alessandro Di Bussolo - Lido di Venezia

Lucrecia Martel, nei suoi quattro film, ha saputo “raccontare l’uomo per quello che è, non semplicemente per quello che fa, quindi anche la sua apertura a una dimensione di trascendenza. Ha indagato “in quei punti di faglia in cui l’umanità manifesta delle crisi, andando oltre la materialità della lettura dei gesti dell’uomo”. Così don Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, sintetizza le motivazioni che hanno spinto l’ente promosso dalla Conferenza episcopale italiana per la valorizzazione del cinema di qualità che indaga sull’uomo, la ricerca di senso e l’apertura allo spirituale, ad assegnare il premio “Robert Bresson” alla regista argentina Lucrecia Martel.

Il direttore Baratta: il suo cinema è rigoroso, non fa sconti

Nello spazio della Feds alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia, nell’Hotel Excelsior del Lido, l’ambasciatore argentino in Italia Tomas Ferrari, consegna il premio giunto alla ventesima edizione alla regista di Zama, il suo quarto ed ultimo film, presentato fori concorso alla Mostra veneziana nel 2017. In questa edizione 2019, la Martel, nata il 14 dicembre 1966 a Salta, è presidente della Giuria, e alla premiazione partecipano anche il presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta e il direttore della Mostra Alberto Barbera. Il direttore definisce quello della regista argentina, che ha all’attivo solo quattro lungometraggi, “un cinema rigoroso, che non fa sconti, capace di andare oltre la superficie, con uno sguardo mai banale”.

Martel: apprezzo il cinema che non da’ per scontata la realtà

Lucrecia Martel, seconda donna a ricevere il premio dopo Liliana Cavani, nel 2018, nel suo dialogo con la giornalista Rai Tiziana Ferrario torna sul suo impegno per una maggiore presenza femminile nell’industria cinematografica, e spiega che “il sistema delle quote è imperfetto, ma può consentire l’ingresso di più donne nei ruoli principali del cinema” e anche la presenza di più film di registe ai festival. Invitata a spiegare la sua idea di cinema, la regista argentina sottolinea che “mi piace qualsiasi film che non dia per scontata la realtà. Filmare un attore che si fa una doccia calda non si può fare alla leggera, perché è un privilegio che la maggior parte degli abitanti della Terra non ha. Bresson in questo è un grandissimi maestro, perché mette in discussione tutto quello che noi diamo per scontato”. Chiediamo a Lucrecia Martel cosa pensa di questo premio, intitolato proprio al grande regista francese scomparso nel 1999.

R. - Sono molto emozionata, all’onore di avere questa responsabilità di presiedere la Giuria si aggiunge ora un premio che porta il nome di un regista che è stato fondamentale per la riflessione sul mondo e sul cinema. E’ una coincidenza incredibile nella mia vita e un onore enorme.

Quale Argentina cerca di raccontare nei suoi film?

R. - Ho cercato di raccontare quella che conosco meglio e che mi è più vicina, cioè la classe media argentina, e riflettere su essa. Nel mio ultimo film (Zama, presentato alla Mostra di Venezia nel 2017, n.d.r.) faccio quasi lo stesso, anche se nel passato. 

Ogni Paese dell’America Latina ha una sua storia particolare, ma c’è un filo rosso continentale che è la presenza di un'immigrazione europea che ha trionfato sulla comunità preesistente nel continente.

Don Milani: una regista che da’ voce agli ultimi 

Delle motivazioni che hanno portato la FEds ad assegnare il Premio Bresson, che è patrocinato dal Pontificio Consiglio della Cultura e dal Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, a Lucrecia Martel dopo, tra gli altri, Giuseppe Tornatore, Manoel de Oliveira, Theo Angelopoulos, Wim Wenders, Aleksandr Sokurov, Jean- Pierre e Luc Dardenne, Ken Loach, e Gianni Amelio, parliamo con il presidente don Davide Milani.

Ascolta l'intervista a don Davide Milani

R. - Il premio Bresson intende sempre premiare l’opera di un artista, quest’anno premiamo la capacità di Lucrecia Martel di indagare in quei punti di faglia in cui l’umanità sembra ferita, si rompe, manifesta delle crisi, la sua capacità di andare oltre la materialità della lettura dei gesti dell’uomo e delle sue azioni, per andare oltre, per rompere una lettura solo orizzontale dell’umano. Nei suoi quattro film la Martel è capace di raccontare l’uomo per quello che è, non semplicemente per quello che fa, quindi la sua apertura a una dimensione di trascendenza.

Quasi seguendo il magistero del Papa argentino, la regista indaga anche molto sugli ultimi dell’America Latina...

R.- Lucrecia Martel è capace di dare voce agli ultimi nelle loro istanze più autentiche, e riesce a rappresentarli,  a dare loro un posto nella cinematografia, raccontati così come sono, senza fare della poetica attorno a delle figure.

E’ importante anche il suo impegno per una maggiore presenza delle donne nell’industria cinematografica...

R. - Anche qui alla premiazione ha reclamato l’importanza delle quote per le opere delle donne nei festival cinematografici. E’ un posizione originale, non condivisa da tutte le donne, ma lei ha avuto il coraggio di esporla.

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Momenti della premiazione di Lucrecia Martel alla Mostra del Cinema
04 settembre 2019, 16:44