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Afghanistan. Un attentato apre la campagna elettorale

Venti morti e cinquanta feriti, è il tragico bilancio dell’ultimo sanguinoso atto terroristico avvenuto domenica a Kabul. La capitale si stava preparando alle elezioni presidenziali del prossimo 28 settembre quando la sede del partito di uno dei candidati è stata colpita

Roberto Artigiani – Città del Vaticano

Nonostante le imponenti misure di sicurezza e la mobilitazione di 900 poliziotti, prima un attentatore suicida si è fatto esplodere al volante di un'auto, poi tre assalitori hanno fatto irruzione nella sede del partito Green Trend, guidato da Amrullah Saleh, ex-ministro degli Interni ed ex-capo dell'intelligence ora candidato come vice del presidente uscente Ashraf Ghani. È questa la ricostruzione ufficiale dell’ultima strage avvenuta nel Paese, ormai flagellato quotidianamente da uccisioni e attacchi. Saleh è stato ferito solo lievemente e può continuare la campagna elettorale insieme agli altri 18 candidati.

Non ancora una democrazia

Dopo tutti questi anni l’Afghanistan può essere considerata una democrazia per quanto fragile? Non ha remore a rispondere esplicitamente, Marco Lombardi, docente di Sociologia all’Università Cattolica di Milano e presidente del centro di ricerca Itstime: “l’Afghanistan non è ancora una democrazia, nel senso che gli assetti di potere non si decidono nelle elezioni, ma in una pluralità di luoghi. Le urne sono solo uno dei tanti luoghi in cui avviene la distribuzione del potere da parte una pluralità di attori, ne è un esempio l’attentato di ieri, ma non solo: anche quello della settimana scorsa all’università o qualche giorno prima a una caserma a Kandahar o il giorno prima ancora ad un autobus... in pratica c’è un attentato al giorno”.

Non solo i Talebani

La situazione del Paese è complicata dalle varie forze in gioco e dai molteplici interessi per cui Lombardi afferma che: “l’attacco di ieri può essere opera dei talebani così come di tutti gli altri attori che attualmente giocano in Afghanistan: oltre a l’islamismo radicale c’è il terrorismo, il narcotraffico e tutta la criminalità organizzata. E poi anche i partiti politici. Tutti giocano su più piazze, tra cui una è quella delle elezioni. Possiamo pensare che i responsabili dell’attacco siano davvero i talebani perché sappiamo quanto Saleh sia loro ostile, però non è detto. In questo momento a tutti fa comodo giocare la carta della violenza come atto elettorale”.

Ascolta l'intervista a Marco Lombardi

Speranze di pacificazione

“Le speranze di pacificazione sono dell’Occidente, prima bisogna capire se c’è l’interesse da parte delle forze in gioco di andare avanti con questi negoziati – si esprime così Lombardi parlando dell’annuncio del governo attualmente in carica dell’avvio per la prima volta di negoziati diretti con i Talebani – Non mi stupirebbe affatto se chi sta negoziando al tavolo sia lo stesso soggetto che tira le bombe dall’altro. Questo è il gioco afghano ed è complicato per noi perché non ci appartiene, è molto diverso dal nostro stile e abbiamo difficoltà a interpretarlo e comprenderlo”.

Bisogna lavorare sui cittadini

Forse l’unico modo per poter sperare di pacificare l’Afghanistan sta in un cambio radicale di posizione, come suggerisce Lombardi: “La speranza sta nel riposizionare la prospettiva sui cittadini. È questo su cui dobbiamo lavorare. Finora, invece, abbiamo puntato sugli schieramenti, cioè abbiamo cercato di rafforzare politicamente e militarmente chi pensavamo potesse aiutarci, dimenticando che invece il lavoro deve essere fatto sui cittadini, coloro i quali hanno il diritto di abitare e avere un governo pacifico nel proprio Paese. Bisogna fare costruzione culturale, è la formazione che può dare nuove prospettive. La speranza sta nella gente, gente che ha voglia di liberarsi di una mentalità che trova opprimente”.

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29 luglio 2019, 15:43