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Vescovi Costa D’Avorio: circolano troppe armi, dialogare per evitare violenze

Intervista di Vatican News al presidente della Conferenza episcopale della Costa d’Avorio, mons. Ignace Bessi Dogbo. “Non vogliamo più la guerra”, dice il presule in vista delle elezioni del 2020 e ricordando la crisi post elettorale di una decina d’anni fa che provocò oltre 3 mila morti

“Desideriamo la pace, facciamo tutto il possibile per il dialogo politico e tra i popoli, per la riconciliazione: non vogliamo più la guerra in Costa D’Avorio”. Così mons. Ignace Bessi Dogbo, vescovo di Katiola e presidente della Conferenza episcopale della Costa d’Avorio, riassume a Vatican News l’appello lanciato dai presuli del Paese africano al termine della loro assemblea plenaria, conclusasi ieri ad Agboville. “La preoccupazione della nostra Chiesa è aiutare il popolo e il governo ad arrivare alla pace tramite un dialogo sincero” affinché “le prossime elezioni non siano occasione di conflitti”, spiega mons. Bessi Dogbo (Ascolta l'intervista al presidente della Conferenza episcopale ivoriana).

Lo scenario politico

Per la Costa D’Avorio inizia infatti un lungo cammino preparatorio verso le consultazioni generali del 2020, un decennio dopo la crisi post elettorale del 2010-2011 che provocò oltre 3 mila morti. Sulla scena politica potrebbero rimanere l’attuale presidente, Alassane Ouattara, che se si ricandidasse correrebbe per un terzo mandato, e l’ex capo di Stato, Laurent Gbagbo, che all’inizio di quest’anno è stato assolto dal Tribunale penale internazionale dalle accuse di crimini di guerra proprio per le violenze scoppiate a seguito delle controverse presidenziali del 2010, quando rifiutò di accettare la vittoria di Ouattara. La Corte dell’Aja ha comunque disposto che non rientri in patria. Non esclude poi di candidarsi un altro ex presidente, Henri Konan Bedié, che potrebbe scegliere un’alleanza con l’ex leader ribelle Guillaume Soro o con il partito di Gbagbo. A questo quadro, si aggiungono le tensioni delle ultime settimane nel centro del Paese, in particolare a Beoumi, dove scontri intercomunitari hanno causato 14 vittime e centinaia di feriti.

Ore di angoscia e tensioni

La sfida presidenziale non è ancora definita: i politici, ricorda il vescovo di Katiola, non hanno reso note “le loro intenzioni”, ma si vivono ore di “angoscia” per le sorti del Paese. Quanto successo a Beoumi “ci fa paura”, dice: “dobbiamo cercare di allontanare la guerra, perché le armi che all’epoca circolavano nel Paese sono ancora qui”. La via è quella del “disarmo”, della consegna di “tutte le armi”, procedendo poi con un “dialogo tra i protagonisti della politica e il popolo per arrivare alla riconciliazione: si può non avere la stessa opinione ma - aggiunge il presule - si può dialogare per arrivare alla pace”. Per mons. Bessi Dogbo “se non avviene un cambiamento, una purificazione nel cuore” il Paese potrebbe correre il rischio di precipitare in violenze analoghe a quelle di circa dieci anni fa. “Ricordo - afferma il presule - le parole del Papa in Gaudete et exultate: coloro che hanno l’autorità devono cercare il bene comune, anche lasciando da parte i loro interessi personali. Questo - evidenzia - è il punto al quale adesso dobbiamo arrivare: cercare il bene comune per la popolazione, ossia la pace, la riconciliazione. Inoltre - riflette il presidente della Conferenza episcopale della Costa d’Avorio - bisogna aiutare il processo di pace affinché le elezioni non portino ancora guerra e morti, perché il pericolo è ancora lì”.

La produzione e il commercio del cacao

“In Costa d’Avorio - prosegue mons. Bessi Dogbo - ci sono 72 lingue locali e dialetti e prima la gente viveva insieme, senza problemi, la nostra preoccupazione oggi è che si torni a questa situazione”, anche nella prospettiva dello “sviluppo” interno. Proprio in questi giorni la Costa D’Avorio e il Ghana hanno deciso uno stop alla vendita del cacao per tutelare i coltivatori locali: i due maggiori produttori mondiali hanno annunciato che non venderanno più il loro cacao al di sotto dei 2.600 dollari a tonnellata, per garantire un margine di guadagno più ampio ai coltivatori, stritolati dalle multinazionali. Si tratta di un problema “molto ricorrente” per gli agricoltori, in una situazione generale “di povertà”, conclude il presule ribadendo il bisogno di un Paese pacificato.

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24 giugno 2019, 13:55