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Villaggio a sud di Idlib colpito dai bombardamenti Villaggio a sud di Idlib colpito dai bombardamenti 

Siria: ancora violenze a Idlib. Mons. Khazen: applicare accordi di Sochi

Prosegue l’offensiva russa e governativa nella regione di Idlib controllata dai ribelli integralisti. Reciproche le accuse di bombardamenti sulla popolazione civile. La Turchia rafforza le postazioni lungo il confine e preoccupano gli incendi delle coltivazioni alimentati dai terroristi

Marco Guerra – Città del Vaticano

Sono oltre 500 i civili, tra cui 118 minori e 92 donne, rimasti uccisi negli ultimi due mesi a causa dei combattimenti e dei bombardamenti nella regione di Idlib, dove è in corso l’offensiva delle forze governative e russe contro le ultime roccaforti dei ribelli jihadisti.

Tre milioni di persone nell’area di Idlib

Nell’area vivono circa tre milioni di persone e operano decine di migliaia di miliziani anti-governativi tra cui gli esponenti della galassia qaidista. A riferirlo è la Rete siriana per i diritti umani, organizzazione che da anni monitora e documenta le violazioni commesse dalle parti belligeranti nella guerra in corso.

Ridda di accuse tra Damasco e ribelli

Secondo l'organizzazione, dalla fine di aprile a oggi sono stati uccisi 487 civili nella regione di Idlib e nei distretti delle regioni circostanti di Ham, Aleppo e Latakia, a seguito dei raid aerei della coalizione governativa, che vengono segnalati anche questa mattina nei distretti a sud di Idlib. I media di Damasco riferiscono, invece, che questi "terroristi" sono responsabili dell'uccisione di decine di civili che abitano nelle zone vicine alla linea del fronte e che sono costantemente raggiunti dai colpi di artiglieria dei miliziani.

Turchia rafforza postazioni lungo il fronte

La Turchia, che ha truppe sul terreno e che sostiene di fatto le forze anti-governative, ha rafforzato nelle ultime ore alcune basi militari e stazioni di osservazione lungo la linea del fronte con le forze russe e regolari siriane.

Trump e Putin parleranno di Siria

Sul fronte diplomatico, intanto, un funzionario dell’amministrazione Usa ha annunciato che il presidente americano Donald Trump parlerà di Siria e Iran con il suo omologo russo Vladimir Putin al G20, in programma il 27 e 28 giugno a Osaka in Giappone.

Siria orientale: gruppi di sfollati tornano nelle loro case

Centinaia di sfollati siriani originari di zone in precedenza controllati dallo Stato Islamico e da settimane bloccati in un campo profughi al confine con l'Iraq potranno tornare alle loro case nella regione di Dayr az Zor. Lo riferisce l'agenzia curdo-siriana Anha, organo della regione controllata dalla comunità curda nella Siria nord-orientale. Anha cita un comunicato della direzione del superaffollato campo profughi di al Hol, dove da dicembre scorso sono ammassate più di 70mila persone, tra cui donne e bambini, familiari di membri dell'Is uccisi in battaglia o persone originarie di zone fino a febbraio in mano allo 'Stato islamico'. Ad inizio giugno, le autorità curdo-siriane avevano consentito a circa 800 profughi di al Hol di tornare alle loro case nella regione di Raqqa, ex capitale dell'Isis in Siria. Queste operazioni sono possibili grazie a negoziati e accordi tra forze curdo-siriane e dignitari tribali della zona dell'Eufrate - tra Raqqa e Dayr az Zor - che forniscono garanzie sul ritorno di questi sfollati alle loro famiglie.

Onu: combattenti Is abbiano un giusto processo

E riguardo gli ex combattenti dello Stato Islamico si è pronunciato ieri anche il capo del Consiglio dei diritti umani dell’Onu, il quale ha detto che i circa 55.000 miliziani dell’Is catturati e detenuti in Siria e in Iraq dovrebbero essere processati in modo equo o essere liberati. Gli Stati "devono assumersi la responsabilità dei loro cittadini" e non dovrebbero infliggere apolidia ai bambini dei combattenti che hanno già sofferto così tanto, ha detto inoltre Bachelet al Consiglio per i diritti umani dell'Onu, aprendo una sessione di tre settimane a Ginevra. Secondo l'esponente dell’Onu, i 55.000 combattenti stranieri provenienti da quasi 50 diversi Paesi del mondo e i circa 11.000 loro familiari detenuti nel campo di al-Hol nel nord-est della Siria sono "in condizioni profondamente sotto standard".

La situazione nelle aree confinanti con la regione di Idlib e nei villaggi cristiani sotto il controllo dei miliziani jihadisti, viene raccontata a Vatican News da mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo:

Ascolta l'intervista a mons. Khazen

R. -  Sono stati lanciati dei razzi su Aleppo, c’è stato qualche morto e qualche ferito e qualche edificio distrutto… Purtroppo questi gruppi nella regione di Idlib sono stati nuovamente addestrati e forniti di armi anche sofisticate, moderne dalla Turchia e quindi hanno preso coraggio e attaccano su più fronti, non solo Aleppo. Anche nella regione di Sanaa ci sono due cittadine cristiane che sono state bombardate quasi quotidianamente e altri villaggi. Quindi l’esercito non sta facendo un’offensiva ma piuttosto cerca di difendersi. Come in tutte le guerre c’è qualche sfollato ma non due milioni, non so cosa dicono…Questo incoraggia di più questi ribelli… Come prevede l’accordo con la Turchia, non si dovrebbe combattere più e cercare di arrivare alle trattative.

Chiedete una soluzione pacifica per queste aree ancora controllate dai ribelli. C’è la speranza che si possa far tacere le armi?

R. – Lo desideriamo dall’inizio della guerra: siamo contro i combattimenti, contro la violenza e per le trattative e il dialogo.  L’accordo di Sochi tra i russi e turchi prevedeva che i turchi dovevano tenere a bada tutti i gruppi armati, soprattutto quelli vicini ad al Qaeda che purtroppo sono loro che controllano la maggior parte della regione di Idlib. La Turchia non l’ha fatto. Vediamo se riescono a fare pressione sulla Turchia per arrivare ad attuare questo accordo.

Ad Aleppo dopo gli anni dell’occupazione dei jihadisti si sta tentando di tornare alla normalità, com’è la vita quotidiana nella seconda città siriana e il rapporto tra cristiani e musulmani?

R. – C’è un popolo veramente vivo che sta provando a ricostruire… Nei nostri rapporti tra musulmani e cristiani e altri gruppi non abbiamo mai avuto un problema….la Siria è uno stato laico composto composto da 23 differenti gruppi etnici e religiosi. Formavano tutti un bel mosaico ed era un esempio in tutto il Medio Oriente e nel mondo islamico. Purtroppo hanno aiutato i gruppi estremisti a ridurre tutto al “colore nero”. Nella vita quotidiana abbiamo difficoltà. Vengono a causa delle sanzioni… anche avere il gas in cucina è difficile, per il gasolio non se ne parla neanche, la benzina è razionata… Le nostre difficoltà maggiori provengono dalle sanzioni.

La stampa riferisce che c’è un problema riguardo gli incendi nei campi di grano, alcuni gruppi terroristici stanno bruciando i raccolti, può confermare questo?

R. – Purtroppo sì. Quest’anno il raccolto prometteva perché abbiamo avuto molta pioggia, l’inverno è stato generoso, quindi adesso siamo stati sorpresi sia nella regione di Hama dove bombardano e bruciano e purtroppo sia nel nordest della Siria e la Mesopotamia, la parte più ricca, anche lì bruciano i campi… Potete immaginare cosa vuol dire questo per un povero contadino che lavora tutto l’anno e aspetta il raccolto e vede tutto bruciare davanti ai suoi occhi.

Avete notizie dei villaggi cristiani sotto i terroristi nella zona di Idlib?

R. – Io chiamo quella gente i “confessori della fede” e veramente lo sono. Quello che io dico riguarda tutta la Siria: per favore togliete le sanzioni, perché le sanzioni colpiscono solo la povera gente, che ne soffre. Quindi se i responsabili sono pochi, la povera gente sono milioni e le sanzioni toccano solo loro.

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25 giugno 2019, 13:32