Proteste in Sudan Proteste in Sudan 

Oltre 100 morti in Sudan a causa della repressione dei generali

Continuano dall'11 aprile scorso, quando è stato destituito il Presidente Omar al Bashir, le azioni di repressione della giunta militare che governa attualmente in Sudan. I cadaveri degli oppositori continuano ad essere ripescati dal Nilo a Khartoum. Il bilancio aggiornato a ieri conta già oltre 100 morti in appena due giorni

Matteo Petri – Città del Vaticano

Le vittime sono tutte manifestanti democratici attaccati dai militari che li hanno dispersi con inaudita violenza. In un primo momento si era parlato di 35 morti, ieri invece il Comitato centrale dei medici del Sudan ha aggiornato il conteggio delle vittime a 100 sommando, anche cadaveri ritrovati nel Nilo che ammonterebbero a 40. Il riacuirsi della violenza è iniziato tre giorni fa per il sit-in di protesta dei manifestati davanti al quartier generale dell'esercito nel centro della di Khartoum, la capitale.

La situazione nel Paese

Le manifestazioni antigovernative proseguono ormai da settimane, con le opposizioni che respingono le proposte di dialogo da parte del governo, almeno fin quando non cesseranno le violenze. Una trattativa che, ha annunciato il generale Abdel Fattah al-Burhan, capo del Consiglio militare di transizione, è stata troncata dopo la reiterata richiesta da parte della piazza di una transizione di almeno tre anni, con passaggio dei poteri dalla sfera militare a quella civile e un graduale passaggio alla democrazia. Tre anni sono infatti il tempo minimo prima che si possano tenere elezioni libere e democratiche, secondo l’opposizione, che ha invitato a continuare la protesta in forma pacifica. La transizione di tre anni è però una richiesta evidentemente inaccettabile per i militari, che ieri hanno annunciato il voto entro nove mesi, rinfocolando la protesta che, a questo punto, è stata repressa nel sangue.

Le violenze al sit-in di protesta

Due giorni fa si è sparato sul sit-in che da settimane stazionava davanti al palazzo del Consiglio militare, in riva al Nilo. La protesta democratica ha cercato di riorganizzarsi e di rifarsi viva, e gli organizzatori hanno incitato a sfidare il regime per l’occorrenza della fine del Ramadan. Ma alle pattuglie di soldati, sempre stando alle forze d’opposizione, si è affiancata l’opera violenta di miliziani paramilitari, che picchiano, rapiscono, torturano, uccidono. Tra questi la Forza di supporto rapido (Rsf), miliziani giudicati responsabili del genocidio e della pulizia etnica delle popolazioni nere in Darfur nel 2003.

La storia del movimento di liberazione

Il movimento per la democrazia sudanese, che qualcuno ha paragonato alle Primavere arabe di qualche anno fa, nacque in dicembre dal seme di una protesta spontanea per il rincaro della farina e del carburante, per poi mettere radici politiche, dopo oltre 30 anni di dittatura militare guidata da Al Bashir. Il dittatore fu estromesso l'11 aprile, sei giorni dopo che la protesta aveva assunto la forma pacifica di un sit-in permanente, simile a quello degli studenti di Piazza Tienanmen in Cina.

I paragoni con il passato

La situazione potrebbe ricordare quella dell’Egitto quando cadde Mohamed Morsi e il nuovo presidente Abdel Fattah Al Sisi usò la mano di ferro contro l’opposizione della Fratellanza musulmana uccidendo e reprimendo le manifestazioni.

Il ruolo dell’Onu

“Il ruolo delle Nazioni Unite è senz’altro ancora importante - spiega Enrico Casale, giornalista della Rivista Africa intervistato da Stefano Leszczynski - ma a fianco dell’Onu è fondamentale l’azione diplomatica di tutti i Paesi, specialmente di quelli che stanno attualmente dalla parte del Consiglio militare”. Casale spiega quindi che il rischio a non coinvolgere questi attori è infatti quello di ritrovarsi in una situazione come quella libica, dove l’Onu non è riuscita a riportare la pace.

Ascolta l'intervista a Enrico Casale

Chi sostiene l’attuale giunta miliare

“Dietro questi militari ci sono sicuramente Arabia Saudita e Emirati Arabi - spiega ancora Casale – mentre sull’altro fronte, quello dei manifestanti c’è il Qatar”. “Le fazioni sono quelle della Libia, dietro il generale Haftar c’è infatti l’ombra dell’Arabia Saudita e Emirati”, aggiunge Casale.

L’importanza strategica del Sudan

“Attraverso il Sudan si arriva alle coste del nord Africa, quindi in Italia e dall’Italia in tutta europa – conclude Casale – è quanto mai di importanza strategica questo paese che è la prima rotta per le migrazioni”.

 

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06 giugno 2019, 15:00