Immagine di un carcere sovraffollato Immagine di un carcere sovraffollato 

Antigone sulle carceri in Italia: la sicurezza non è garantita dalla repressione

La Costituzione italiana guarda alle pene, e non solo a quella carceraria, come a un mezzo di rieducazione che non deve ledere la dignità della persona. Quanto il sistema detentivo rispetta oggi il dettato costituzionale? Di questo si è parlato oggi, a Roma, nel corso della presentazione del XV rapporto di Antigone

Adriana Masotti - Città del Vaticano

Conferenza di presentazione all'Istituto di Santa Maria in Aquiro del Senato, a Roma, del XV rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia dal titolo "Il carcere secondo la Costituzione". Il documento costituisce una fotografia indipendente del sistema penitenziario condotta attraverso l'attività di osservazione che l'Associazione ha svolto in 85 istituti penitenziari del Paese. Contiene dati, numeri, analisi, proposte. Oltre a Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, alla conferenza stampa sono intervenuti Mauro Palma, Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e Gemma Tuccillo, Capo del Dipartimento della Giustizia minorile e Comunità. 

“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato (Art.27 della Costituzione italiana)”

Cresce il numero dei detenuti, calano gli ingressi in carcere

Dal rapporto emerge che il numero dei detenuti presenti nelle carceri italiane è in aumento, nonostante non si registri una crescita negli ingressi nei penitenziari né nel numero dei delitti commessi. Al 30 aprile 2019 erano 60.439, di cui 2.659 donne: 8.000 detenuti in più rispetto a quattro anni fa. Con questo trend, fa notare Antigone, nel giro di due anni si tornerà ai numeri che sono costati la condanna dell'Italia da parte Ue. Il tasso di affollamento sfiora attualmente il 120%. Ma come si spiegano questi dati contrastanti e quanto viene rispettato l'Art. 27 della Costituzione in merito alle pene? "Diciamo che c’è una pericolosa tendenza culturale a vantarsi quasi di volerlo superare - risponde ai nostri microfoni Susanna Marietti di Antigone - . Noi abbiamo sentito un ministro dire che qualcuno sarebbe dovuto marcire in galera e sentiamo spesso dire che bisogna buttare le chiavi, ecc... Non era questo il senso che i nostri padri costituenti, che avevano conosciuto le carceri fasciste, avevano dato alla pena. Che poi, non è la pena, sono le pene. Mentre invece oggi c’è una visione esclusivamente carcerocentrica. Si dice: non c’è la certezza della pena, se la persona non sconta in carcere fino all’ultimo giorno. Ma non è vero: le misure alternative alla detenzione sono una pena a tutti gli effetti; quindi, le pene declinate al plurale andrebbero utilizzate di più". 

L'attesa della condanna e le condizioni delle celle

Al 31 dicembre 2018, 19.565 detenuti (il 32,8% del totale) erano in carcere in attesa di condanna definitiva. Questo dato è del 38% se si guarda ai soli detenuti stranieri, mentre scende al 30,2% per quelli italiani, segno che la custodia cautelare è più frequente in situazioni di maggiore debolezza sociale. Dalla rilevazione effettuata dall’Osservatorio di Antigone durante il 2018 è risultato che nel 18,8% dei casi vi sono celle che non rispettano i 3mq minimi previsti per ciascun detenuto. La regione italiana con più detenuti è la Lombardia, seguita da Campania, Lazio e Sicilia. La regione dove il tasso di affollamento è maggiore è la Puglia (160,5%), seguita dalla Lombardia. Non c’è un allarme stranieri detenuti. Negli ultimi dieci anni, anzi, sono diminuiti di oltre 1.000 unità, e attualmente sono il 33,6%. 

Ascolta l'intervista integrale a Susanna Marietti

Tossicodipendenza e carcere

Rispetto all'Europa, osserva il rapporto, l’Italia ha una delle legislazioni in materia di droghe più repressive e inefficaci, i cui effetti sono visibili in carcere. Solo Grecia e Lettonia hanno una percentuale di detenuti per droga superiore agli altri. In Italia i tossicodipendenti sono circa un quarto della popolazione detenuta. Il costo totale della loro permanenza in carcere è di oltre 70 milioni di euro l’anno. "Una diversa scelta orientata al sostegno socio-sanitario costituirebbe un grande vantaggio economico, oltre a essere più utile ai detenuti e alle loro famiglie - spiega Marietti -. Decisamente si potrebbe usare un altro tipo di approccio al tema delle tossicodipendenze. Chi fa uso di droghe ha un problema sanitario, ha un problema sociale, va aiutato …"

Malessere di tipo psichiatrico e suicidi

Il 28,7% del totale dei detenuti assume terapia psichiatrica sotto prescrizione medica. Nel 2018 si è inoltre registrato un aumento importante del numero dei suicidi: 67, stando al dato raccolto da Ristretti Orizzonti, mentre il Ministero ne conteggia sei in meno. In aumento anche gli atti di autolesionismo. Molto spesso gli atti estremi si registrano nei reparti di isolamento. Proprio allo scopo di prevenire i suicidi in carcere, Antigone ha presentato nei mesi scorsi una proposta di legge che puntasse, tra le altre cose, a una riforma complessiva del regime dell’isolamento.

Lavoro, formazione e istruzione

I detenuti che svolgono un’attività lavorativa sono circa il 30% del totale. I corsi di formazione professionale coinvolgono un numero in calo in conseguenza dei progressivi tagli alle risorse che l’Amministrazione penitenziaria e le Regioni sono stati in grado di impegnare nel settore. "I dati ufficiali - dice Susanna Marietti -  ci parlano del 30 per cento dei detenuti che lavora; se però andiamo ad analizzare questo 30 per cento, scopriamo che la stragrande maggioranza lavora a turnazione, lavora magari per una settimana al mese, per tre giorni a settimana e per tre ore al giorno. Quindi, io credo che l’istituzione, ma non lo credo io, lo crede la nostra Costituzione, debba dare delle opportunità oggettive di reintegrazione sociale, e questo giova alla persona detenuta ma soprattutto giova alla società che si ritrova, ovviamente, avvantaggiata in termini di tassi di recidiva".

Studiare in carcere

Un dato in controtendenza è quello relativo alla scuola. Nel corso dell’anno scolastico 2018, si sono iscritte ai corsi scolastici 20.357 persone detenute oltre 2.000 in più rispetto all’anno precedente. La polizia penitenziaria è la figura professionale più presente in carcere, con un rapporto di un agente ogni 2 detenuti. Ad essere in pochi sono gli educatori, 1 per 78 detenuti. Nel 2018 è sceso ancora il già esiguo numero dei mediatori culturali, attualmente 1 ogni 122 detenuti di origine straniera.

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16 maggio 2019, 10:47