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Mozambico: sfollati dopo il passaggio del ciclone Kenneth Mozambico: sfollati dopo il passaggio del ciclone Kenneth  

Mozambico, dopo i cicloni, emergenza sanità

Rapporto di Medici senza frontiere sulla critica situazione del Paese africano devastato dal maltempo e minacciato da colera e malaria.

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

Il Mozambico attraversato da due devastanti cicloni - Idai il 13 marzo e Kenneth il 21 aprile – che hanno causato oltre 600 morti e decine di migliaia di sfollati si trova ora a fronteggiare una grave emergenza sanitaria per lo scoppio di un’epidemia di colera e il rischio di una recrudescenza della malaria.

Paese tra i più poveri dove si vive in media 55 anni

Da qui il rinnovato allarme lanciato dall’organizzazione umanitaria Medici senza Frontiere (Msf) in un rapporto reso pubblico ieri sulla critica situazione in cui versa il Paese africano. Da ricordare che il Mozambico, ex colonia portoghese, indipendente dal 1975, afflitto da una sanguinosa guerra civile fino agli inizi degli anni ’90, resta tra i Paesi più poveri al mondo, con 28 milioni di abitanti, di cui oltre metà, il 54 per cento, sopravvive sotto la soglia della povertà, con un’aspettativa di vita di soli 55 anni, tanto che l’età media della popolazione è di appena di 17 anni.

L’impatto violento di due tempeste in breve tempo

“L’impatto di due tempeste in un così breve arco di tempo è stato devastante”, riferisce Giuseppe La Rosa di Msf, appena rientrato dal Mozambico, dove giunto per portare aiuto a ridosso del primo ciclone, si è ritrovato a raddoppiare gli sforzi per la popolazione travolta dalla seconda calamità.

Ascolta l'intervista a Giuseppe La Rosa

R. – Medici senza frontiere, al momento, sta portando avanti le attività su due fronti: il primo, nella provincia di Sofala, dove si trova la città di Beira, che è la zona che è stata colpita più duramente dal primo ciclone, e nella zona a nord, dove invece si è abbattuto il secondo ciclone; qui abbiamo inviato un’équipe d’emergenza, soprattutto nella città di Pemba, dove il 2 maggio scorso è stata dichiarata ufficialmente dalle autorità sanitarie locali un’epidemia di colera, a seguito dello scoppio di una ventina di case nella città di Pemba e cinque nel distretto di Kufi.

Sappiamo che c’è una collaborazione con le autorità locali e anche con la Chiesa.

R. – Sì, stiamo collaborando, come sempre in questi casi, sia con le autorità locali sia con tutte le associazioni presenti; l’intervento si svolge su due fronti: per salvare più vite possibili ed aiutare i pazienti gravemente malati e per cercare di contenere l’epidemia, con una campagna di vaccinazione e fornendo la popolazione di acqua pulita, quindi pulendo i pozzi e fornendo soluzioni di cloro che rendano potabile l’acqua.

C’è il rischio che l’epidemia possa espandersi ulteriormente?

R. – Quella che era una grossa epidemia nella città di Beira subito dopo il primo ciclone è stata contenuta grazie al pronto intervento di Medici senza frontiere, del ministro della Salute e delle altre associazioni presenti sul luogo. Ricordiamo che abbiamo effettuato una campagna di vaccinazione che ha raggiunto il 98 per cento della popolazione – stiamo parlando di circa 800 mila persone – e questo ha permesso di fermare un’epidemia che avrebbe potuto avere conseguenze atroci. Quello che stiamo facendo noi, attualmente, a Beira è gestire un centro di trattamento del colera con 40 posti letto e un altro paio di centri nella periferia della città, perché comunque il rischio che un’epidemia possa ripresentarsi soprattutto nelle zone periferiche è ancora concreto. Ci sono infatti zone periferiche magari a pochi chilometri dalla città di Beira, che sono però difficilmente raggiungibili o magari solo con l’utilizzo di barche, perché ho visto pianure completamente alluvionate in cui un mese dopo il primo ciclone le popolazioni ancora non avevano avuto accesso ai servizi sanitari di base.

C’è preoccupazione anche per la malaria?

R. – Decisamente. Stiamo parlando di zone in cui l’acqua, stagnante ormai da diverso tempo, favorisce lo svilupparsi di zanzare e quindi il diffondersi della malattia. Anche in questo caso, i casi sono circa 15 mila nella zona della provincia di Sofala, quindi stiamo parlando di grandi numeri. Un’altra preoccupazione, relativa sempre all’allagamento di questi territori, è la distruzione dei campi che sono la principale risorsa di cibo delle popolazioni locali: anche questo è un problema che nel futuro prossimo avrà conseguenze importanti.

E’ dunque importante che resti l’allerta nella comunità internazionale verso il Mozambico?

R. – Certamente, a mio avviso, l’attenzione verso il Mozambico non è mai abbastanza alta! Io stesso recandomi là non avevo idea della distruzione che avrei trovato e non mi sarei mai reso conto della dimensione della catastrofe senza averla vista.

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07 maggio 2019, 15:06