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Mozambico: emergenza colera ma si comincia a ricostruire

Per ora sono stati registrati poco più di mille casi conclamati di colera in seguito al ciclone Idai. Sono passate tre settimane dall’abbattimento del tifone sulle coste del Paese e la macchina degli aiuti umanitari ha cominciato a muoversi. La testimonianza di un missionario italiano a Beira

Camillo Barone - Città del Vaticano

A tre settimane dal disastro del 14 e 15 marzo 2018, in cui il ciclone Idai si è abbattuto più impetuoso che mai sulle coste del Mozambico, gli aiuti umanitari provenienti da tutto il mondo cominciano ad essere distribuiti alla popolazione. Il bilancio finale del disastro è di oltre 500 morti e quasi un milione di sfollati interni, che da pochi giorni hanno cominciato a ricevere aiuti umanitari provenienti da tutto il mondo. L’assenza di acqua potabile e pulita, cibo e medicinali ha fatto che sì che nei giorni scorsi crescesse l’emergenza colera tra gli abitanti. Il 2 aprile però circa 900mila dosi di vaccino per il colera, fornite dall’Unicef e dall’Oms sono arrivate a Beira, la città più colpita in assoluto. Il Ministero della Salute del Paese ha confermato 1.052 casi di colera in seguito al ciclone Idai. La maggior parte di questi (959 casi) si sono verificati a Beira, dove è stato confermato anche un caso di decesso, seguita da Nhamatanda (87 casi).

Missionario italiano: il popolo del Mozambico è già risorto

Molto commosso l’appello che don Maurizio Bolzon ha rivolto oggi ai microfoni di Radio Vaticana Italia: “Ho respirato la forza della speranza fin dal primo momento. Abbiamo ancora la vita e da questo poco che abbiamo si può ripartire. La forza di questo popolo mi ha colpito molto”. Don Maurizio Bolzon è un sacerdote vicentino che da anni vive a Beira, in Mozambico, dove si trovava anche al momento del disastro di tre settimane fa. “Questo popolo ha già vissuto la sua Pasqua nella sua unità, le persone che hanno sofferto sono già risorte”, ha poi continuato il sacerdote. Bolzon ha poi anche confermato che la Caritas nazionale ed internazionale sta lavorando attivamente per la distribuzione di cibo, acqua potabile e sistemazione domiciliare in tendoni per le popolazioni sfollate. La visita del Papa di settembre porterà tanta speranza a detta del missionario, anche se è ancora incerta la sua visita sui luoghi disastrati di Beira, dove tutti i cittadini pregano per incontrare il Pontefice.

Ascolta l'intervista a don Bolzon

R. – Beira è tutta un’altra città. Di queste tre settimane, i primi 10 giorni sono stati segnati da pioggia battente e continua che ha anche bloccato fortemente la possibilità di ripartire, di poter ripensare a come rimpostare la vita. L’unica cosa che si poteva fare è cercare di mettere al riparo ciò che ancora era riparabile e aspettare che passasse la pioggia… Non c’era altro da fare e per quasi 10 giorni, tutti abbiamo avuto questa sensazione di assoluta impotenza. Poi, finalmente è uscito il sole, un sole che fino ad adesso ci sta accompagnando e di fatto il sole è qualcosa di grande perché non è soltanto esterno ma entra nel cuore e con il sole si riparte, si comincia a vedere come ogni persona, ogni famiglia, ogni situazione può voltare pagina e ricominciare a vivere.

Quali pensa siano le ferite più difficili da curare e quali invece i segni di speranza fra i suoi fedeli?

R. – Sono parroco di un’area abbastanza grande, tutta attorno all’aeroporto città di Beira. Il quartiere dove io opero è fatto unicamente di baracche. Il giorno dopo il disastro, quando ho cominciato a muovermi, non vedevo una sola casa con il tetto in cima: tutti i tetti erano volati via, totalmente o parzialmente, ma non c’era una casa in buone condizioni… La pioggia batteva e le persone dentro che cercavano di ripararsi in una casa senza tetto… Gente così povera che già vive in baracche, ricostruirle, ripartire, comprare nuove lamiere… E’ un disastro. Però, per molti la casa è anche il luogo dove si conservano gli alimenti, quindi persi i vestiti, perso il materasso, si perde anche il sacco del riso o il sacco del mais che si ha lì in casa e che deve durare per mesi e mesi. Quindi lo spettro della fame è una realtà presente in tantissime case della nostra gente. La speranza, l’ho respirata fin dal primo momento, dal momento in cui alle prime luci dell’alba, siamo usciti, io come tutti gli altri, dalla porta: guardarci, salutarci, darci la mano e dirci l’un l’altro: “Siamo ancora qui. Abbiamo perso tutto ma la vita ce l’abbiamo ancora e si può ripartire”. Ecco, questa è stata una frase che io ho sentito ripetere dappertutto e continuamente, da tutte le bocche e a tutti i livelli: “Siamo ancora qua, siamo vivi, ci si rialza e si riparte”. Una cosa così io davvero, nella vita, non l’avrei mai pensata. Sono rimasto davvero impressionato. Di fronte al disastro, questa forza interiore che ha la gente mozambicana, per me è un insegnamento incredibile… Io sono meravigliato, mi sembra di vivere in mezzo a un popolo di “risorti”, nel senso che non si rassegna alla morte: vive, vive, vive. Tanto è vero che in questo tempo di Quaresima a me sembra già essere un po’ in una Pasqua, in qualche modo.

Quanti e quali aiuti umanitari sono arrivati in Mozambico? Può dirsi soddisfatto?

R. – Il governo chiaramente vuole avere il controllo di questo movimento e quindi noi come Chiesa siamo anche presenti con la nostra Caritas, la Caritas diocesana, supportata poi da quelle nazionali, internazionali e da varie Caritas di vari Paesi. Siamo in un tavolo dove sono sedute tantissime altre presenze. Credo che il discorso dell’emergenza, se il governo riesce a gestirlo con intelligenza, in una prima fase potrebbe avere una risposta anche adeguata.

Don Maurizio, cosa ha suscitato a voi di Beira la notizia della visita del Papa del prossimo settembre?

R. – Da una parte, chiaramente, la gioia perché avere Papa Francesco in mezzo a noi… Papa Francesco è Papa Francesco! Dall’altra parte, immediatamente, quando io come qualcun altro ha cominciato a dire alle persone che avevamo intorno: “Sapete, Papa Francesco viene a settembre…”, tutti, tutti, nessuno ha mancato di dire: “Ma viene qua perché ha voluto visitarci dopo il disastro, dopo il ciclone?” E siamo rimasti un po’ paralizzati perché di fatto una risposta non c’è stata, il programma della visita non è ancora stato divulgato… Anche se sembrava da quello che si era capito che tutto si sarebbe un po’ limitato alla visita della città di Maputo, la capitale, che si trova nel sud del Paese. Quindi noi non saremo contemplati come luogo di visita però sicuro con quello stiamo vivendo e abbiamo vissuto la speranza che Papa Francesco possa venire a trovarci a Beira sta animando tantissimo.
 

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04 aprile 2019, 14:25