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Seggio elettorale in una base militare israeliana Seggio elettorale in una base militare israeliana 

Legislative in Israele: Netanyahu in cerca di un quinto mandato

Intervista con Giorgio Bernardelli, giornalista di ‘Mondo e Missione’, sulle legislative israeliane. Il voto appare come un “referendum su Netanyahu”, anche se nei sondaggi il Likud è indietro di 4 seggi rispetto a Blu e Bianco dell’avversario Gantz. A influire saranno le alleanze politiche e le inchieste giudiziarie sul premier uscente

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Da una parte Benjamin Netanyahu, leader del partito conservatore Likud e primo ministro per quattro volte, dall’altra l’ex generale centrista Benny Gantz, già capo di Stato maggiore e leader della nuova alleanza Blu e Bianco, i colori della bandiera dello Stato ebraico. Questa la principale sfida alle elezioni legislative di domani in Israele, quando più di 6 milioni di elettori andranno alle urne per rinnovare il Parlamento. Gli ultimi sondaggi indicano il partito di Gantz in testa con una trentina di deputati su 120 della Knesset. Il Likud è indietro di 4 seggi, ma i dati mettono in risalto una maggiore facilità per Netanyahu di trovare alleati, sia fra i partiti alla sua destra sia con gli ultraortodossi, nonostante le frizioni degli ultimi mesi.

Alleanze di governo

Nel sottolineare come Israele abbia “una lunga storia di sondaggi pre-elettorali puntualmente smentiti dalle urne” Giorgio Bernardelli, giornalista di ‘Mondo e Missione’ del Pontificio Istituto Missioni Estere, sottolinea a Vatican News come “Gantz, se anche dovesse avere la maggioranza dei seggi, riscontrerà maggiori difficoltà di Netanyahu a costruire una coalizione di governo. Va pure detto - prosegue - che anche Netanyahu potrebbe ritrovarsi più in difficoltà rispetto al passato: c’è una parcellizzazione del voto tra molte forze dello schieramento della destra; molte forze sono vicine alla soglia di sbarramento per cui bisognerà vedere se riusciranno ad entrare in Parlamento oppure no. Il quadro che potrebbe venir fuori dall’esito di queste elezioni - chiarisce Bernardelli, profondo conoscitore delle dinamiche mediorientali - è di un sostanziale equilibrio con una difficoltà molto forte a creare una coalizione di governo: piccole forze potrebbero avere un peso determinante negli equilibri politici” (Ascolta l'intervista a Giorgio Bernardelli).

Le inchieste giudiziarie

A far precipitare Israele verso elezioni anticipate è stata l'impossibilità di trovare un accordo in seno al governo sulla leva militare per gli ultraortodossi. “Gli ortodossi - spiega - sono tradizionalmente alleati di Netanyahu ed è difficile immaginare una coalizione di governo a guida Netanyahu senza di loro. Lo scenario che va profilandosi è esattamente lo stesso che ha portato alle elezioni anticipate di pochi mesi fa, con l’ulteriore complicazione di Netanyahu che è alle prese con gravi guai giudiziari: c’è un rinvio a giudizio che pende su di lui e quindi tra pochi mesi potrebbe davvero porsi la questione della sua compatibilità con la guida di un governo”. Le inchieste giudiziarie per corruzione, abuso d’ufficio e frode “hanno di fatto trasformato questo voto - riferisce Bernardelli - in un referendum su Netanyahu, spaccando in due il Paese, per cui il parziale calo dei consensi che comunque esiste all’interno del Likud è dovuto sostanzialmente a questo”. Per quanto riguarda poi lo spostamento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme e il riconoscimento del presidente Trump alla sovranità israeliana sulle Alture del Golan, Bernardelli ritiene come questi siano comunque elementi che contano “meno di quanto si pensi nelle scelte dell’elettorato israeliano, nel senso che si tratta di azioni compiute da Trump ma che sono sostanzialmente simboliche, che non hanno avuto grandi ripercussioni, grandi cambiamenti rispetto a quella che è la situazione sul terreno”. A ciò - prosegue - va aggiunto che “Netanyahu sconta il fatto di un allontanamento dal mainstream delle comunità ebraiche americane: a queste ultime, che - evidenzia - sono tradizionalmente di impostazione più liberal, non piace lo ‘schiacciamento’ su Donald Trump”.

La questione della Cisgiordania

Nelle ultime ore Gantz ha etichettato l’annuncio di Netanyahu su un’estensione della sovranità israeliana, in caso di rielezione, a parti della Cisgiordania come “un'irresponsabile” mossa per i voti. “E’ una promessa pre-elettorale, da verificare però - mette in luce Bernardelli - sul terreno. Netanyahu in ebraico non ha usato la parola ‘annessione’ bensì una più ambigua come ‘sovranità’, ma già oggi Israele esercita una sovranità sugli insediamenti. Tutto sta nel capire cosa significhi quella parola, che comunque andrà verificata all’indomani delle elezioni, nelle scelte concrete di governo, ammesso che Netanyahu rimanga alla guida dell’esecutivo”.

Il conflitto israelo-palestinese

La stampa internazionale ha messo in risalto come nel dibattito elettorale la questione palestinese sia in qualche modo scomparsa. Poco più di un anno fa, intanto, iniziavano le proteste a Gaza per chiedere la fine del blocco imposto sulla Striscia. “La questione palestinese - precisa Bernardelli - è scomparsa dall’orizzonte della politica israeliana ormai da tempo, cioè sostanzialmente dal fallimento dell’iniziativa di Obama. E, anche se Netanyahu dovesse perdere e se Gantz dovesse diventare il prossimo primo ministro in Israele, è difficile immaginare grandi cambiamenti almeno nell’immediato. C’è anche - nota però - l’estrema debolezza all’interno del mondo palestinese: Hamas è in una fase di difficoltà estrema. Qualche settimana fa ci sono state delle dimostrazioni popolari a Gaza contro Hamas. È una fase - conclude - in cui il conflitto è come in un certo senso ‘parcheggiato’: va avanti per dinamiche di inerzia e questo non è certamente un bene”.

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08 aprile 2019, 13:35