Giovani con le mani al cielo Giovani con le mani al cielo 

“Vogliamo pensare”: domande degli studenti italiani

Nuove tecnologie, mutamenti politici, migrazioni, le incertezze dell’Europa e sull’Europa, il mancato rispetto dei diritti umani: per la politica oggi la priorità dev’essere una sola, la diffusione della cultura e della conoscenza, perché le giovani generazioni abbiano gli strumenti per ricominciare a pensare. In settimana, un importante convegno alla Lumsa. Intervista con Antonio N. Augenti, esperto di diritto e di problemi dell’educazione

Laura De Luca – Città del Vaticano

Tempi critici per la ragione umana, messa oggi a dura prova dal confronto con tecnologie sempre più spregiudicate. E di conseguenza, grandi sfide per i processi di acquisizione della conoscenza, per l’istruzione.
“L’odierna evoluzione della capacità tecnica produce un incantamento pericoloso: invece di consegnare alla vita umana gli strumenti che ne migliorano la cura, si corre il rischio di consegnare la vita alla logica dei dispositivi che ne decidono il valore”. Parole di Francesco indirizzate alla Plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, lo scorso 25 febbraio: E ancora: “La ragione umana viene così ridotta a una razionalità alienata degli effetti, che non può essere considerata degna dell’uomo”.

Occorre dunque ripensare il nostro rapporto con la tecnica e con noi stessi, “dobbiamo comprendere meglio che cosa significano, in questo contesto, l’intelligenza, la coscienza, l’emotività, l’intenzionalità affettiva e l’autonomia dell’agire morale”. In una parola dobbiamo tornare a pensare e soprattutto a far pensare le giovani generazioni. Di qui l’importanza sempre più decisiva dell’insegnamento, della formazione dei più giovani a un esercizio critico della ragione. In questo senso il convegno “Chi ha paura della filosofia. La dignità del pensiero per affrontare il cambiamento” in programma venerdì 22 e sabato 23 marzo a Roma presso la Lumsa e dedicato ai grandi temi dell’educazione, in particolare alla possibilità di introdurre lo studio della filosofia in tutti i percorsi di studio. L’idea viene dal recente documento “Orientamenti per l’apprendimento della filosofia nella società della conoscenza”, elaborato da una Commissione di esperti del mondo della scuola e dell’Università, istituita dal Miur.

L’impegno del professor Antonio Augenti, allievo di Aldo Moro

Tra partecipanti al convegno: Francesco Bonini, Rettore Magnifico della Lumsa, i filosofi Dario Antiseri, Donatella Di Cesare e Umberto Margiotta, e Antonio N. Augenti, direttore del Centro servizi educativi del Consorzio Universitario Humanitas, che è attivo presso la stessa università Lumsa. Augenti, già docente di materie giuridiche in varie università italiane, si batte da anni per una giusta rivalutazione di ogni percorso educativo, a cominciare da un rapporto meno formale ma più umano e “socraticamente” dialettico tra maestri e allievi.

Ascolta l'intervista al prof. Augenti

Professor Augenti, lei ricorda in particolare un suo maestro?

R. Ho avuto la fortuna di laurearmi in diritto penale con Aldo Moro e in particolare ho fatto con lui l’esame di filosofia del diritto.
Va da sé che l’insegnamento, il contatto con una personalità di questo segno abbia lasciato in me una memoria molto forte. Ho avuto poi la possibilità di avere rapporti con lui anche dopo l’università, quando Moro fu per un breve periodo ministro della pubblica istruzione…

In Italia, a più di 40 anni dalla tragica vicenda del suo sequestro, lo si ricorda come uno statista particolarmente incline alla mediazione. Che insegnante era?

R. Un insegnante non facile da accostare, perché aveva una misura personale, di comportamento e di stile vita molto riservata.
Nel primo anno degli studi di diritto c’è la materia di filosofia del diritto, che lui insegnava insieme a diritto penale, materia del quarto anno. Moro preferiva che l’esame di filosofia completasse gli studi del primo anno, io invece mi presentai con questa materia come primo esame. La mia poteva essere una disavventura, lui era solito far ritirare gli studenti che facevano questa scelta. Invece mi diede 28 (per l’epoca e per lui un voto altissimo), ma soprattutto non fui sbattuto fuori! E fu un incontro molto bello perché mi invitò a non restare lontano dal gruppo universitario, probabilmente aveva apprezzato questa mia curiosità intellettuale e anche questo mio coraggio di avventurarmi in una materia che lui considerava come comprensiva e riassuntiva del primo anno …

Importanza della filosofia. Per l’appunto. Ma, parlando di Aldo Moro, non posso non approfittare per chiederle dov’era lei la mattina del 16 marzo, giusto 41 anni fa, e come apprese la notizia del rapimento.

R. Dalla radio. Fu una ferita per me, perché lo avevo re-incontrato appunto quando era ministro e mi aveva anche invitato a far parte della sua segreteria tecnica. Inoltre avevo una certa familiarità con la moglie, per alcune sperimentazioni nell’ambito della scuola: all’epoca dirigevo l’ufficio studi del ministero e la signora Moro era presidente dell’ente Montessori… Avevano anche varato alcune iniziative in comune…

Lei pensava si dovesse trattare con i terroristi o era per la linea dura?

R. E’ una domanda alla quale difficilmente si può rispondere. Alla quale non ho il coraggio di rispondere.

Quando lei era allievo di Aldo Moro erano gli anni cinquanta. Ciò significa che lei ha vissuto la guerra da ragazzino. A suo parere quell’esperienza ha incoraggiato nella vostra generazione l’idea di una cultura europea?

R. Non c’è dubbio che le esperienze dolorose e laceranti della guerra costituiscano un patrimonio fondamentale per impegnarsi realmente verso la pace, la solidarietà, l’unione con gli altri.
Ma non possiamo pretendere di sentirci europei solo per essere pacifisti e mettere alle spalle le esperienze negative del passato. Dobbiamo avere un progetto: il nostro migliore passato è da rivitalizzare, rimettere insieme, metabolizzare e su questo costruire un futuro. Non solo guardandoci indietro, ma trovando quella visione di insieme che ci permetta di affrontare le sfide nuove che i popoli hanno davanti. Sul fronte economico, ambientalistico, di dialogo con gli altri, con le altre culture…

E allora che cosa ci manca per sentirci davvero europei, giovani e vecchi?

R. Io credo che ci manchi un bagno nel mare dei diritti della persona.

Nel 1950 fu approvata una convenzione europea dei diritti dell’uomo, al di là della Dichiarazione universale 1948: i popoli europei fecero da freno (l’errore fu di De Gaulle), per una serie di ragioni che ora non sto a elencare. Ma è fondamentale rimettersi dentro questa problematica dei diritti della persona, nella tutela di tutto ciò che significa la libertà dell’essere umano: nel pensiero, nello stare con gli altri, nell’educarsi, nel farsi educare…. Principi di libertà, di correttezza, di rispetto dell’altro. Se si recupera tutta questa problematica forse i giovani che oggi credono in queste cose, anche se ancora non le esercitano, possono essere sollecitati a rivolgersi a un’Europa diversa dal passato, a un’Europa nuova…

La priorità fondamentale della politica dovrebbe essere dunque l’educazione…?

R. In questo noi italiani come paese abbiamo colpe notevoli. Siamo al di sotto della media europea per quanto riguarda gli investimenti in ricerca. Siamo più o meno nella media per quanto riguarda la formazione e l’istruzione, ma spendiamo male le risorse Non facciamo investimenti, ma solo retribuzione degli operatori. E i contenuti della formazione? I valori? D’altro canto l’Europa non si è accorta che si sarebbe dovuto andare al di là delle politiche di coordinamento, e che sarebbe stata necessaria, in questo, più severità. Si è stati severi in economia, ora lo si dovrebbe essere nell’ambito delle politiche educative.

Perché secondo lei gli insegnanti sono in Italia così poco apprezzati e dunque frustrati?

R. C’è un forte disagio complessivo. La media di età dei nostri insegnanti è di gran lunga superiore alla media europea. Anche i più anziani affrontano bene i problemi, ma occorre rigenerare il corpo insegnante e le università devono occuparsi maggiormente della formazione dei docenti.
Invece c’è stanchezza, fragilità…

In Italia servirebbero più professori o più maestri?

R. Gli uni e gli altri.

Occorre comunque molta professionalità. Non solo per rispondere alle nuove tecnologie, ma per la costruzione di ambienti formativi, occorre governare le risorse che abbiamo a disposizione che sono materiali, personali, ma anche relative alle relazioni con istituzioni esterne alle scuole.
Ma serve anche molta vicinanza a chi deve formarsi, collaborazione reale, accompagnamento a crescere…

Nell' omelia della Messa a Santa Marta del 17 gennaio scorso Papa Francesco ha detto: “Si cresce sempre con le prove, con le difficoltà”. E ha parlato anche della testardaggine dell’ideologia, da cui i docenti dovrebbero essere messi al riparo… Il suo libro Libertà e professionalità dei docenti, professore, porta come sottotitolo Il diritto alla conoscenza. Mi interessa molto questa sottolineatura. Nella costituzione italiana s parla del diritto all’ Che appunto dovrebbe salvare gli insegnanti dall’ideologia.

R. Un passaggio ulteriore senz’altro e.  E’ questa la maggiore scommessa della modernità, come direbbe Zygmunt Baumann: il sapere, la conoscenza, la curiosità. A me ha impressionato moltissimo per esempio un cartello con cui alcuni studenti hanno protestato nei confronti della disattenzione verso la scuola: VOGLIAMO PENSARE. E’ un cartello bellissimo, che noi, come consorzio Humanitas, abbiamo raccolto per organizzare questo convegno del 22 marzo sul pensiero, sulla filosofia e sulla dignità del pensiero, per affrontare il cambiamento. E noi dobbiamo essere capaci di rispondere.

Ascolta l’edizione integrale dell’intervista al professor Augenti andata in onda su Radio Vaticana Italia nella rubrica “Faccia a faccia”:

 

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19 marzo 2019, 12:10