Sede del Parlamento britannico Sede del Parlamento britannico 

Brexit: parlamento inglese dice si alla richiesta di rinvio

Con una maggioranza di 210 voti, 412 contro 202, i deputati di Westminster hanno approvato la mozione, proposta dal governo di Theresa May, che dà alla premier il mandato di chiedere alla Ue un’estensione dell’articolo 50. Ovvero il parlamento britannico decide di rimandare, per il momento, Brexit

Marco Guerra – Città del Vaticano

Martedì 19 marzo, la premier tornerà ancora una volta a Westminster per chiedere l’approvazione del “withdrawal agreement”, l’accordo firmato con l’Unione europea che regola il recesso del Regno Unito. Il trattato è stato già stato bocciato due volte e sono circa 75 i parlamentari che il primo ministro deve convincere per avere una maggioranza. Secondo alcuni commentatori, è un’impresa possibile perché per Theresa May potrebbero votare alcuni parlamentari laburisti e anche il partito nord-irlandese “Dup”. Nella mozione approvata ieri sera si legge che, se la premier vincerà, chiederà ai leader europei, riuniti al summit del 21 marzo, altri tre mesi di tempo, fino al 30 giugno, per completare la legislazione necessaria per rendere Brexit una realtà. Se, invece, il “withdrawal agreement” verrà bocciato per la terza volta, “quasi sicuramente il Consiglio europeo vorrà un obbiettivo chiaro, per la richiesta di qualunque estensione di tempo e, se si andrà oltre il 30 giugno, il Regno Unito dovrà partecipare alle elezioni europee del prossimo maggio”.

Il nodo del confine con l’Irlanda

Uno dei nodi più spinosi dell’accordo sulla Brexit resta quello del confine irlandese, l’intesa è stata infatti giudicata insufficiente a tutelare l’Irlanda del Nord dall’eventuale impatto del “backstop” (rete di protezione) sull’integrità economica e costituzionale del Regno Unito. Si vuole infatti evitare la creazione di un confine rigido tra Irlanda e Irlanda del Nord.

Comece: la Brexit non rompe fraternità con i britannici

Sulla difficile processo della Brexit è intervenuto anche mons. Jean-Claude Hollerich presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece): “Non dobbiamo permettere che questo processo così difficoltoso possa impedire il nostro progredire in avanti. Non spetta alla Chiesa indicare soluzioni tecniche ma come abbiamo ripetuto spesso, la Brexit non riuscirà a rompere la fraternità che esiste tra noi e i nostri fratelli britannici”.

Aprendo a Bruxelles l’Assemblea della Comece, che riunisce i vescovi delegati delle Conferenze episcopali di tutti i Paesi dell’Unione Europea, mons. Hollerich ha inoltre detto che “il modo caotico in cui si sta discutendo sul Brexit – aggiunge Hollerich – sta aggiungendo enfasi e incertezza al cruciale momento che il nostro Continente e la gente stanno vivendo”.

Osservatorio Brexit: partiti spaccati sull’uscita dall’Ue

Sul complicato processo della Brexit e le decisioni del Parlamento britannico VaticanNews ha intervistato Francesco Tufarelli, presidente di Osservatorio Brexit:

Ascolta l'intervista a Francesco Tufarelli

In realtà la Camera dei Comuni britannica ha votato diverse volte; la premier Theresa May, dopo aver avuto una prima bocciatura dell’accordo qualche tempo fa, lo ha riproposto e ne ha ricavato un’altra bocciatura. Soltanto che questa volta la procedura è un po’ più complessa; quindi successivamente ha sottoposto alla Camera una serie di altri voti sfociati alla fine nell’ultimo che e stato di nuovo bocciato pur non volendo il parlamento britannico un’uscita senza accordo. Quindi si rifiuta il no deal sostanzialmente. Ricordiamo che l’uscita senza accordo è particolarmente gravosa, perché equipara la Gran Bretagna ad un Paese extracomunitario senza accordi. La data di uscita del 29 marzo ha probabilmente stressato un po’ questo tipo di votazione e quindi portato a prendere queste decisioni in brevissimo tempo. Sono tre giorni che si vota alla Camera dei Comuni. In Europa fissammo un termine di due anni per l’uscita senza avere ben presente la fattispecie perché non era mai accaduta una cosa del genere. Quindi    era un termine ultimativo che ci sembrava congruo. Quando ci siamo trovati alla prova dei fatti, soprattutto per un Paese grande come la Gran Bretagna, evidentemente ci sono stati dei problemi.

Perché c’è questa reiterata bocciatura degli accordi raggiunti dal governo britannico? Quali sono i temi al centro della discordia?

R. - Il problema fondamentale è che c’è proprio un vizio di origine, ovvero che il referendum è stato partorito dalla volontà di poco più della metà degli inglesi; quindi abbiamo un Paese spaccato. Nella stessa maniera abbiamo un parlamento spaccato in cui i diversi leader che hanno gestito la prima fase non sono più i leader dei partiti; e i partiti tra di loro sono anche divisi; la stessa Thresa May non può contare neanche sui suoi. Si tratta di un accordo quadro in alcuni punti molto vago, molto di principio, e in alcuni altri si ritiene penalizzante perché comporta spese. Noi dobbiamo ricordare che la Gran Bretagna è sempre stata membro dell’Unione Europea un po’ con il freno tirato, quindi a parte non aderire all’Euro, abbiamo una serie di altri scontri su altre materie che negli anni hanno fatto sì che versasse meno di quello che avevano versato gli altri. Chiaramente questo è andato in conto e non ha fatto altro che aggravare la situazione.

Ma sulla Brexit aleggia sempre la possibilità di un secondo referendum evocata da alcuni esponenti politici britannici. È una via plausibile e corretta, dopo quanto hanno già espresso i cittadini?

R. - Molto spesso, per quanto riguarda le materie comunitarie alcune cose sono state sottoposte nuovamente a referendum. È accaduto ad esempio per quanto riguarda il trattato in Paesi come l’Olanda, la Francia. Quindi sostanzialmente un secondo referendum di conferma non sarebbe una cosa completamente nuova. Sicuramente è possibile a livello giuridico; dobbiamo vedere se è politicamente percorribile.

Londra condivide con l’Irlanda parte del territorio dell’isola irlandese. Ci sono ripercussioni che preoccupano anche Dublino?

R. - Sì. Una cosa è essere confinanti con un Paese comunitario, un’altra è esserlo con un Paese extracomunitario; questo per tutti in genere. Considerando lo storico tra Gran Bretagna e Irlanda, una situazione di no deal con l’Unione Europea configurerebbe una serie di situazioni, di problemi proprio nelle zone di confine, perché andremo a condividere politiche profondamente differenti.

Si parla quindi di far restare un confine senza barriere …

R. - Diciamo che si sta paventando la possibilità di un confine a regole diversificate, con regole specifiche per quel tipo di confine.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

14 marzo 2019, 14:21