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Michelangelo, nella sua pittura a tre dimensioni il trionfo della spiritualità

Il 18 febbraio 1564, moriva a Roma, a quasi 89 anni, Michelangelo Buonarroti, artista fiorentino che ha creato capolavori nella scultura (Pietà, Mosè e David), nella pittura (la Volta e il Giudizio Universale della Cappella Sistina) e nell’architettura (la cupola di San Pietro). Il ricordo di Guido Cornini, dei Musei Vaticani

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Un genio umile, che trovava forza nella sua arte e che in essa esprimeva la sua fede, forte ma tormentata. Michelangelo Buonarroti, che morì a Roma il 18 febbraio del 1564, a pochi giorni dal suo 89esimo compleanno, il 6 marzo, dedicò gli ultimi giorni della sua vita e gli ultimi pensieri alla “Pietà Rondanini”, la scultura incompiuta custodita oggi nel Museo del Castello Sforzesco di Milano.

Il lavoro alla “Pietà Rondanini” e la febbre

Scrive Daniele da Volterra, l’allievo che gli fu vicino sino alla morte e che fu incaricato di coprire la nudità delle figure del Giudizio Universale con le famose “braghe” (e per questo soprannominato il Braghettone): “Egli lavorò tutto il sabato, precedente la domenica di carnevale, il lunedì si ammalò; lavorò in piedi, studiando sopra quel corpo della Pietà”. La forte febbre che lo avrebbe portato alla morte, nella sua modesta casa di Macel de Corvi, in vicolo de’ Fornari, lo fece sragionare, fino a chiedere al domestico Antonio di sellare il suo cavallo, il morello.

La morte il primo venerdì di quaresima del 1564

Alla fine accettò di sedersi in poltrona, assistito anche da Tommaso de’ Cavalier, giovane nobile romano, e da due medici, e chiese di mandare a chiamare il nipote Leonardo che viveva a Firenze. Daniele da Volterra, in quel 14 febbraio, lunedì di carnevale, scrisse al nipote di correre al capezzale di Michelangelo, che però cominciò a perdere conoscenza già il mercoledì delle ceneri. Portato sul letto, di ferro con solo un pagliericcio, nei momenti di lucidità chiese ad Antonio di leggergli la Passione di Cristo. Fece testamento e si spense al tramonto del primo venerdì di quaresima. Leonardo riuscì ad arrivare solo il 24 febbraio, quando il corpo di Michelangelo riposava nella chiesa dei Santi Apostoli, vestito come per un viaggio, con la palandrana nera che indossava per cavalcare, il cappello di foggia antica e gli stivali con gli speroni.

Il corpo portato a Firenze e sepolto a Santa Croce

Ma l’atto funebre romano non fu l’ultimo per il grande artista. Tenendo all’oscuro le autorità pontificie, che in precedenza avevano espresso il desiderio di seppellire Michelangelo nella basilica di San Pietro, il nipote Leonardo organizzò il trasferimento notturno della salma a Firenze, dove arrivò l’11 marzo. Il 12 ebbe luogo un primo funerale, ma il 14 luglio quello solenne nella chiesa di San Lorenzo. I resti mortali di Michelangelo furono sepolti nella Basilica di Santa Croce, e nel 1570 trasferiti nel monumentale sepolcro allestito da Giorgio Vasari, dove riposano ancora oggi.

Ricordare Michelangelo nella Cappella Sistina

Per ricordare la grandezza di Michelangelo incontriamo Guido Cornini, direttore del reparto per l’arte dei secoli XV e XVI dei Musei Vaticani, nella Cappella Sistina, che definisce “vero sacrario della pittura di Michelangelo, che qui ebbe modo di entrare due volte, la prima da trentenne, quando dipinse gli affreschi della Volta, e poi, sessantenne, dipingendo invece il poderoso affresco del Giudizio Universale”. Sono le espressioni più altre del Michelangelo pittore che però “si era formato soprattutto come scultore – ricorda Cornini - sappiamo che da ragazzo aveva frequentato il giardino di San Marco, presso i Medici, dove aveva studiato con un allievo dello scultore Bertoldo Di Giovanni, e si era formato ad una grande conoscenza di pezzi scultorei dell’antichità classica, fino a scolpire la famosa Pietà per San Pietro, nel 1498-99, che ancora oggi costituisce uno dei riferimenti principali dell’attività scultorea del rinascimento italiano”.

Il Giudizio: una poderosa massa orchestrata di corpi

Michelangelo, sottolinea ancora Cornini “aveva una statura quasi teologica che gli veniva riconosciuta dai Papi e dai contemporanei, e non si limitava ad essere un maestro d’arte, di ars mechanica. Con lui anche l’artista entra nel novero delle professioni liberali dello spirito e dell’intelletto”. Sembra che, nel caso del Giudizio Universale, ci dice il direttore della sezione arte rinascimentale dei Musei Vaticani, il Buonarroti “abbia avuto dai Pontefici carta bianca per dipingere una poderosa massa orchestrata di corpi con una sintassi del tutto nuova, inedita, scompaginando qualunque precedente iconografico, per dare vita ad un messaggio grandioso, sottilmente riformato: quello della responsabilizzazione individuale davanti a Dio che è giudice”. “Anche lo scompiglio che troviamo nelle figure dei santi – prosegue Cornini - indica lo sgomento che afferra tutti, perché soltanto Dio ha, nella sua onniscienza, una conoscenza profonda della vita spirituale di ciascuno di noi, e quindi della nostra sincerità, dei nostri pentimenti”.

La magia della tridimensionalità nella pittura

Michelangelo, ricorda ancora Cornini “si forma in una bottega fiorentina di fine Quattrocento dove gli artisti erano educati a fare tutto: a dipingere, scolpire ma anche suonare o costruire apparati effimeri per feste. Quindi già dal punto di vista tecnico Michelangelo era un homo universalis, versato su tutto”. Ma la sua marcia in più è la capacità di portare nella pittura la scultura, come fa nella Cappella Sistina. “Benché avesse imparato l’arte della pittura da grandi maestri fiorentini come il Ghirlandaio e Cosimo Rosselli, Michelangelo in più ci mette la tridimensionalità della scultura. Quindi riesce nella finzione di un piano a farci percepire in qualche modo l’aggetto e il rientro delle forme, in un modo che né il Botticelli né gli altri grandi maestri del quattrocento volevano o riuscivano a fare”.

Nella lotta con la materia, trionfa la spiritualità

Secondo Cornini, in conclusione, Michelangelo era al servizio di un’idea spirituale molto potente. “Queste grandi figure di nudi, di profeti e sibille che si torcono nello spazio, che si atteggiano con grande potenza, probabilmente stanno a significare la lotta tra lo spirito e la materia, e quindi la fisicità del corpo che viene vinta grazie alla ferrea volontà e all’esercizio dello spirito. In una specie di lotta immateriale che ogni corpo conduce con lo spazio che lo circonda, si afferma appunto il trionfo della spiritualità”.

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Immagini dalla mano di un genio dell'arte
18 febbraio 2019, 08:00