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Giornata contro le mutilazioni genitali femminili. Onu chiede tolleranza zero

Nel documento sulla Fratellanza umana, firmato dal Papa e dal Grande Imam di Al-Alazhar, la condanna di tutte le pratiche disumane che umiliano la dignità delle donne. Intervista a Paolo Rozera, direttore generale dell'Unicef-Italia

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

Tolleranza zero verso le mutilazioni genitali femminili (Fgm). E’ l’imperativo rivolto dalle Nazioni Unite alla comunità internazionale in questa Giornata istituita nel 2012 per porre fine a questa pratica aberrante, gravemente lesiva dei diritti umani delle donne.

Centinaia di milioni le giovani mutilate

Sono almeno 200 milioni - secondo stime dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – le donne, ragazze e bambine che hanno subito interventi sui genitali, in una trentina di Paesi, in massima parte nell’Africa subsahariana e in Medio Oriente anche se questa pratica è comune anche in India, Indonesia, Iraq e Pakistan, oltre che in alcuni gruppi indigeni dell’America Latina, senza contare le mutilazioni femminili tra le popolazioni immigrate in Nord America, Australia, Nuova Zelanda e in Europa, dove secondo uno studio dell’Europarlamanto, sarebbero circa mezzo milione le donne sfregiate negli organi riproduttivi.

Problema globale che vuole riposta globale

Le mutilazioni genitali femminili sono un problema globale che richiede una risposta globale, sollecita l’Onu impegnata con le sue agenzie – Unicef, Unfpa, Un Women, Oms - a sostenere programmi di sensibilizzazione e di assistenza sociosanitaria nei Paesi dove più è diffusa questa piaga ai danni delle donne.

Gravi danni al fisico e alla psiche

Le mutilazioni genitali femminili provocano infatti seri danni alla salute non solo a breve termine, per il dolore dell’intervento, l’insorgere di problemi urinari e il rischio di infezioni, che possono portare persino alla morte ma sull’intera vita, comportando anche ferite psicologiche che permangono.

I diritti delle donne dimenticati

La strada per tutelare i diritti delle donne, specie nei contesti più poveri, socialmente e culturalmente più arretrati, è ancora lunga da percorrere e richiede uno sforzo condiviso da parte dei popoli e degli Stati, come è stato sottolineato anche nel documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, sottoscritto il 4 febbraio scorso ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azharl Ahmad Al Tayyib.  

No a pratiche disumane che ledono dignità

Nel testo, che traccia le basi di un rinnovato patto tra leader religiosi per il bene dell’umanità intera, si dichiara la necessità di proteggere la donna “dallo sfruttamento sessuale e dal trattarla come merce o mezzo di piacere o di guadagno economico” e per questo si chiede di “interrompere tutte le pratiche disumane e i costumi volgari che umiliano la dignità della donna” e di “lavorare per modificare le leggi che impediscono alle donne di godere pienamente dei propri diritti”.  Nel caso delle Fgm diritti alla salute, alla sicurezza e all’integrità fisica e a non subire torture e trattamenti crudeli e degradanti, come ricorda oggi l’Onu.

Le cause da rimuovere

Riguardo le cause di questa di questa pratica disumana sono varie, derivanti da tradizioni culturali e superstizioni popolari, riferite impropriamente anche a convinzioni religiose, collegate a rituali di iniziazione delle bambine e ragazze all’età adulta o ritenute un requisito essenziale per il matrimonio o usate come strumento di controllo sessuale di donne adulte, sottoposte a ripetute infibulazioni, ogni qual volta i mariti si allontanano da casa per qualche tempo.

Eliminare le mutilazioni: obiettivo di sviluppo

Ma a che punto siamo nella lotta alle mutilazioni genitali femminili? Secondo stime dell’Onu circa 70 milioni di giovani e bambine subiranno mutilazioni da qui al 2030 se non vi sarà un’azione accellerata per debellare questo genere di violenza sulle donne. Per questo nel 2015 i leader del mondo hanno inserito l’obiettivo di eliminare le Fgm nell’Agenda dello sviluppo sostenibile da raggiungere entro quell’anno, come spiega Paolo Rozera, direttore generale dell’Unicef-Italia.

Ascolta l'intervista a Paolo Rozera

R. - Ovviamente ci sono ancora Paesi che permettono la pratica delle mutilazioni e nei Paesi dove invece non è più permessa ci sono però delle forme illegali. Questo cosa ci porta a dire? Che è importante l’impegno a livello pubblico, a livello governativo, ma è molto più importante lavorare a livello di comunità perché sono le singole comunità locali che devono impegnarsi nel vietare questa pratica che è una vera e propria forma di violenza nei confronti delle donne ed ha delle conseguenze che poi le donne si portano dietro per tutta la loro vita.

Le mutilazioni esistono come fenomeno anche nei Paesi di immigrazione, che cosa si fa per avere un’opera di prevenzione?

R. – L’azione più importante che si fa è fornire un’assistenza a queste persone che quando migrano verso altri Paesi si portano dietro delle pratiche come questa - che è aberrante - e per poterle individuare, limitare e dare delle alternative è importante che i migranti siano seguiti. Il famoso processo di inclusione - di cui si parla spesso - deve prevedere un’assistenza sociale ma anche sanitaria per evitare questa pratica.

E, magari permettere anche che queste donne si sentano supportate e possano anche denunciare in Paesi, dove c’è questa possibilità…

R. - Sicuramente denunciare chi migrando con loro continua a perseverare in questa pratica. E’ fondamentale che queste donne si sentano supportate in una scelta diversa rispetto a quella tradizionale.

La Campagna dell’Onu #EndFGM è presente su Twitter e Facebook

 

 

 

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06 febbraio 2019, 14:33