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L’arcivescovo di Tunisi: Paese più povero, timori per islamisti al potere

Sono passati 8 anni dalla sollevazione popolare, la cosiddetta Rivoluzione dei gelsomini, che il 14 gennaio del 2011 ha portato l’allora presidente Ben Ali a scegliere la via della fuga. Intervista con l’arcivescovo di Tunisi, mons. Ilario Antoniazzi

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

In Tunisia, 8 anni dopo la caduta del regime di Ben Ali, l’emancipazione politica ha portato ad elezioni libere, una Costituzione avanzata, leggi egualitarie per le donne. Ma la disoccupazione resta uno dei grandi problemi che affligge il Paese. L’inflazione all’8%, la disoccupazione al 30% nelle regioni più povere e salari da 140 euro al mese sono alcuni dei sintomi più emblematici di un crescente disagio sociale.

Gesti drammatici

Lo scorso 24 dicembre un giovane reporter, Abderrazak Zorgui, si è dato fuoco in segno di protesta. Il suo drammatico gesto ricorda quello di un venditore ambulante, Mohamed Bouazizi, che nel 2010 si è dato fuoco per manifestare contro la crisi economica. Quel dramma è stato l’inizio della cosiddetta “Primavera araba”, caratterizzata da una lunga scia di proteste scoppiate in diversi Paesi della regione. Oggi, nuove proteste infiammano il Paese e ci sono timori di violenze in occasione dello sciopero generale proclamato dai lavoratori del settore pubblico il prossimo 17 gennaio. Sull'attuale situazione in Tunisia si sofferma a Vatican News l’arcivescovo di Tunisi, mons. Ilario Antoniazzi.

R. – La gente, malgrado tutto, ha ancora tanta nostalgia di Ben Ali, perché allora c’era più lavoro, più sicurezza...

D. – Oggi che Paese è la Tunisia?

R. – Io lo chiamo sempre il “Paese delle contraddizioni”. Ci sono dei punti in cui la Tunisia rimane sempre il Paese pilota del Maghreb e di molti Paesi arabi, e nello stesso tempo altri punti che sono molto dolorosi. Per esempio, la Tunisia è l’unico Paese del mondo arabo, dove la donna ha gli stessi diritti dell’uomo nell’eredità e ad avere come sindaca della capitale una donna. La donna in Tunisia ha gli stessi diritti dell’uomo per quanto riguarda il divorzio. Però, allo stesso tempo, è un Paese dove la rivoluzione non ha portato i risultati sperati: c’è più povertà, più miseria. La democrazia non è qualcosa che si può imporre, deve essere il frutto di un lungo cammino.

D. – La storia recente della Tunisia – parliamo dello scorso dicembre – è stata segnata da un tragico evento: un giornalista si è dato fuoco proprio per protestare contro la gravissima situazione economica che sta attraversando il Paese, come aveva fatto anche un venditore ambulante nel 2010. Poi, dopo quell’episodio, praticamente iniziò la Primavera Araba. Lei pensa che ci siano delle analogie? Anche se è uno scenario molto diverso, c’è qualcosa che mette in comune queste situazioni?

R. – Certamente. La “Rivoluzione dei gelsomini” è cominciata con un venditore che si è dato fuoco. Questo giornalista si è dato fuoco e prima ha fatto un video per dire il motivo per cui faceva questo gesto estremo. Diceva chiaramente che il Sud è un posto dimenticato, dove c’è tanta povertà. Fino ad ora il Sud è stato pieno di manifestazioni e tutti hanno paura per una manifestazione che si terrà il 17 gennaio: ci sarà uno sciopero generale in tutta la Tunisia. La paura è che ricominci; quello che è sicuro è che il futuro non è tanto sereno. In più, nel 2019 ci saranno le elezioni presidenziali e si ha paura che possa prendere il potere un esponente dell’islam estremista. Questo 2019 è un grande punto di domanda per noi tutti.

D. – Nel 2015, al Quartetto per il dialogo nazionale tunisino è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace. Nonostante queste ombre ci sono comunque dei segni che fanno pensare alla Tunisia come a un Paese che possa anche essere un modello di democrazia per gli altri Paesi arabi?

R. – Certamente. Se si riesce ad indirizzarli verso la giusta strada, saranno i giovani e le donne che porteranno la Tunisia verso una transizione democratica e pacifica. Altrimenti può essere pericoloso. Io abito in una delle principali strade di Tunisi. Quando vedo che fin dalle 7 del mattino i caffè sono pieni di giovani che rimangono lì tutta la giornata, che vanno e vengono e non fanno nulla, mi fanno paura. Perché sono giovani pieni di vita che hanno voglia di lavorare ma che non trovano lavoro.

D. – Per il futuro della Tunisia è importantissimo anche il ruolo dell’Unione Europea. La Tunisia non può essere lasciata sola …

R. – Certamente, perché la Tunisia non ha assolutamente nulla. L’Europa deve investire sulla Tunisia perché da lì possono partire delle idee positive o negative che possono far male a tutto il Maghreb. Su questo punto mi piacerebbe che l’Italia avesse più presenza in Tunisia.

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13 gennaio 2019, 10:00