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Pakistan: fissata l'udienza per la revisione dell' assoluzione di Asia Bibi

Torna alla ribalta il caso di Asia Bibi. La Corte Suprema ha fissato l’udienza per la revisione della sentenza di assoluzione. I giudici incaricati di valutare la petizione sono gli stessi che hanno ritenuto la donna cristiana “non colpevole” di blasfemia

Cecilia Seppia - Città del Vaticano

Non c’è pace per Asia Bibi che pur fuori dal carcere, dove ha trascorso gli ultimi 9 anni della sua vita, vive segregata in una località del Pakistan sotto stretta sorveglianza, ancora lontano dai suoi figli per ragioni di sicurezza. La Corte suprema pakistana ha infatti fissato per il prossimo 29 gennaio l’udienza in cui verrà discussa la revisione della sua sentenza di assoluzione. La notizia è stata data dal quotidiano nazionale Dawn e ripresa dall’Agenzia Fides, mentre sembra non arrestarsi l’ondata di mobilitazione da parte di  persone comuni, attivisti e leader politici internazionali che si sono già espressi in sua difesa. Di recente anche 500 imam islamici hanno firmato una dichiarazione in cui affermano che la vicenda di Asia, deve essere risolta con la massima urgenza. Il Tribunale ha anche fatto sapere che la composizione della Corte incaricata di valutare la petizione presentata da Qari Muhammad Salaam, è la stessa di quella che ha scagionato Asia ed è costituita dal presidente di giuria Asif Saeed Khosa, da Qazi Faez Isa e Mazhar Alam Khan Miankhel, ma la famiglia di Asia è di nuovo ripiombata nell'incubo.

La storia

Asia, lo ricordiamo, è stata condannata a morte il 7 novembre 2010 da un tribunale del Punjab. Era stata arrestata per oltraggio al profeta Maometto nel giugno dell’anno precedente, dopo una discussione con alcune sue colleghe, durante la quale si era macchiata dell’unica colpa di aver difeso il suo credo. Incarcerata per anni nel braccio della morte nel penitenziario di Multan, senza possibilità di vedere il marito e i figli, la donna ha subito torture, abusi e oggi soffre di demenza senile, nonostante abbia appena 48 anni. Mai però ha smesso di credere, mai si è arresa mostrando una fede incrollabile in Dio. 

La liberazione e le minacce

Lo scorso ottobre, dopo infinite udienze e rinvii nel processo a suo carico, i giudici della Corte Suprema l’hanno scagionata da qualsiasi accusa, e per questo ora sulla loro testa pende una condanna a morte. Nei giorni successivi i radicali islamici del partito Tehreek-i-Labbaik Pakistan (Tlp) hanno messo a ferro e fuoco il Paese contestandone l’assoluzione. Per evitare l’escalation di violenza il governo di Imran Khan è sceso a patti con i manifestanti e ha concesso la revisione del verdetto dei giudici supremi. A ottobre la donna cristiana è stata liberata ma non può lasciare il Paese in base all’accordo con i radicali islamici. Da quel momento vive a Islamabad in una località di massima sicurezza, scortata e protetta. Della sua famiglia, solo il marito ha potuto riabbracciarla, al contrario dei figli.  Chiunque in passato abbia mostrato solidarietà e vicinanza alla donna pakistana, è stato perseguitato da minacce di morte o ucciso dai radicali. Tra gli esempi più noti dei minacciati, l’avvocato di Asia Bibi che ha trovato riparo in Olanda; nel secondo gruppo, quello degli assassinati, l’ex governatore musulmano del Punjab Salman Taseer e l’ex ministro cattolico per le minoranze Shahbaz Bhatti.

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25 gennaio 2019, 12:55