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Shoah. Natan Orvieto, salvato da un sacerdote cattolico

Sono oltre 400 in Italia le persone insignite dell’alta onorificenza dei “Giusti tra le Nazioni” per il loro impegno a favore degli ebrei perseguitati durante la Shoah. Tra questi c’è il venerabile don Gaetano Tantalo, parroco di Tagliacozzo durante l’occupazione nazista. Nel 1943 si offrì come ostaggio volontario ai tedeschi che volevano punire la sua gente sospettata di favorire i partigiani. Nello stesso periodo ospitò in casa sua una famiglia di ebrei fuggita da Roma dopo le leggi razziali: era la famiglia di Natan Orvieto. Ecco la sua intervista del 2012 alla Radio Vaticana

Paolo Ondarza - Città del Vaticano

Ascolta l'intervista a Natan Orvieto

R. – Noi ci trovavamo in una località di villeggiatura, a Magliano dei Marsi – io avevo cinque anni e mezzo. E lì ci colse il famoso 8 settembre, cioè l’armistizio. Una signora, nostra carissima amica del paese, disse a mio padre: “Signor Orvieto, scappi, scappi, perché c’è un mandato di cattura da parte del comando tedesco”. Non sapendo dove sbattere la testa, alla fine ebbe un’illuminazione: si ricordò della conoscenza che avevamo fatto tre anni prima con don Gaetano Tantalo.

D. – Era un sacerdote che vi ospitò nella sua casa parrocchiale. Per quanto tempo?

R. - Per nove mesi e mezzo, circa. E disse – questa fu una frase veramente grande: “Il Signore Iddio vi ha mandato nella sua casa, quindi si è impegnato a proteggervi”.

D. – La vostra presenza nella casa di don Tantalo, alimentava sospetti tra la sua gente?

R. – Interrogativi, può darsi. Ma evidentemente ciascuno se li teneva per sé, probabilmente proprio perché c’era questa figura esemplare di don Gaetano che non faceva fare chiacchiere. Il 31 dicembre del ’43, ci fu una grossa nevicata. I tedeschi iniziarono a girare per tutte le case del paese alla ricerca di uomini che potessero pulire le strade. Arrivarono alla casa parrocchiale. Bussa, bussa, bussa … mi ricordo che noi eravamo in uno stanzone al silenzio. Ad un certo punto vedemmo dalle feritoie delle finestre una donna anziana – la signora Annunziata Onofri – che andò verso i soldati e disse: “Ma chi cercate? Ma lì c’è solo il prete, che tra l’altro si è pure ‘azzoppato’ qualche giorno fa!” … Come sia andata, non lo so. Fatto sta, che i tedeschi se ne sono andati. E questa è la riprova di quello che ho detto prima e cioè dell’atmosfera che don Gaetano aveva creato attorno a sé. Cioè, la donnina non aveva detto una bugia, perché don Gaetano ci teneva che non si dicessero bugie, assolutamente. Ma disse una mezza verità: che lì ci stava un prete, perché quella era la casa del prete!

D. – Come ha vissuto la condizione di ‘salvato’?

R. – Gli alleati arrivarono a Tagliacozzo il 10 giugno 1944, e scendemmo tutti in piazza, con le campane della chiesa che suonavano a stormo per la felicità: le ho ancora nelle orecchie, potrei rifarle il suono … Una felicità colossale! Appena arrivò la prima autoblindo, ricordo che un paesano mi prese – a me, bambino di sei anni e mezzo– e mi mise sopra il cofano dell’autoblindo. Ricordo perfettamente la mano dell’autista che usciva fuori per toccare la mia mano … è stata una gioia grande. 

D. – Quindi, un ricordo di estrema felicità di quel momento. Poi, però, negli anni, la condizione di sopravvissuto le è pesata non poco …

R. – Certo. Poi ho vissuto la consapevolezza di chi piano piano viene a sapere che cosa era successo di tragico, di tremendo; dell’industria della morte, dei parenti stretti che non tornavano … Le posso dire l’atmosfera di attesa: a proposito di un mio zio, il rabbino Pacifici, nessuno voleva credere che non potesse tornare più. Quindi ogni giorno cercavamo notizie, ci si chiedeva: forse l’hanno fatto prigioniero i russi, forse stava male e ci vorrà del tempo prima che ritorni … Finché poi due, tre anni dopo venne la testimonianza di una persona che ci raccontò: “Eh, sì, era con me, il rabbino Pacifici, ma l’hanno gassato quasi subito!”. Credo di avere anch’io, come molti altri, nutrito all’interno un sentimento quasi inconscio di complesso di colpa per essere sopravvissuto, tant’è che non ho voluto leggere tanti particolari delle sofferenze subite da questi poverini nei campi di sterminio.

D. – Oggi, però, c’è un impegno, un impegno molto forte da parte sua nel raccontare. Questo dà senso alla sua esperienza …

R. – Sì. Questo è vero e la ringrazio per questa sua percezione dell’importanza del senso della vita, anche dopo tutta questa tragedia. Il senso della vita io lo sento in questo: l’umanità da questa storia deve raccogliere delle indicazioni forti: vivere la Memoria proiettandosi nel futuro e non rimanendo solamente ancorata al passato.

D. – La sua vicenda personale è una bellissima pagina della storia dei rapporti tra ebrei e cattolici.

R. – Certo.

D. – Don Tantalo è stato insignito dell’alta onorificenza di “Giusto” …

R. - … “Giusto tra le Nazioni”: certamente. La cosa più appropriata che si possa dire di personaggi come lui e, grazie a Dio, non è stato l’unico: ce ne sono stati anche altri. Quando seppe come è articolata la Pasqua ebraica, che noi non dovevamo mangiare nulla che fosse stato a contatto con il lievitato, trovò un muratore che venne a rifare la piastra del camino, e disse: “Così il signor Enrico – mio padre – potrà impastare il pane azzimo per poter fare la Pasqua ebraica”. Questo significa “ama il prossimo tuo come te stesso”. Un atteggiamento ricambiato da mio padre, più tardi, quando don Gaetano era ospite a casa nostra: noi non ci inginocchiamo per le preghiere, ma don Gaetano sì. E siccome in inverno pieno non poteva andare in chiesa perché faceva troppo freddo ed era malato, mio padre andò dall’abate di San Paolo e gli chiese: “Mi può dare un inginocchiatoio? C’è un sacerdote a casa mia che deve pregare...

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26 gennaio 2019, 09:55