Migranti honduregni a Tijuana (Messico) tentano di passare il confine con gli Usa Migranti honduregni a Tijuana (Messico) tentano di passare il confine con gli Usa  

Messico-Usa. Padre Rigoni sulle migrazioni: le periferie sono in marcia

Sui nostri media si torna a parlare della carovana di migranti che preme al confine tra Messico e Stati Uniti. Difficilissime le loro condizioni tra speranza, rassegnazione e rabbia. La testimonianza di p. Rigoni: fuggono per poter sopravvivere

Adriana Masotti - Città del Vaticano

Gli agenti di confine americani hanno usato gas lacrimogeni contro un gruppo di 150 migranti provenienti dall'Honduras, che stavano tentando di sfondare la recinzione al confine tra Usa e Messico a Tijuana. La notizia diffusa ieri e che riaccende l’attenzione sulla drammatica realtà che si vive in quella striscia di terra, riferisce di almeno tre raffiche di gas nella parte messicana della frontiera. Secondo un comunicato delle autorità degli Stati Uniti, i migranti avevano tentato di oltrepassare il filo spinato avvolti in giacche pesanti e coperte issando oltre il confine i bambini più piccoli. Gli agenti avrebbero usato i lacrimogeni in risposta al lancio di pietre: 25 i migranti arrestati nell’operazione.

Si prepara una nuova carovana

Ed è di qualche giorno fa la notizia di un nuovo allarme in Honduras, in Messico e negli Stati Uniti, per una campagna che si sta sviluppando attraverso i social network honduregni per la costituzione di una nuova carovana di migranti che potrebbe partire da San Pedro Sula il prossimo 15 gennaio. In una foto, un gruppo di persone, vestite di nero, marciano dietro una rete metallica sovrastata da filo spinato, con lo slogan: "Cerchiamo rifugio, in Honduras ci uccidono".

Per 50 migranti al giorno si apre l'esame sulla richiesta d'asilo

Ma la carovana che dovesse partire è solo uno dei tanti flussi migratori che nei mesi scorsi si sono messi in moto dai Paesi del Sud e del Centro America. In Occidente si è saputo, e per qualche giorno si è parlato, di quella partita il 13 ottobre scorso proprio da San Pedro Sula, seguita poi da carovane in marcia da El Salvador, e arrivata attraverso il Messico al confine con gli Usa. Si parla di almeno 10.000 persone alla frontiera presidiata da uomini delle forze armate e della polizia. Difficilissime le loro condizioni di vita in attesa di poter passare il confine. C’è chi ci spera, nonostante la chiusura all’accoglienza decisa dal presidente Trump. Una 50.na di loro al giorno passa il confine con un foglio in mano: è l’attestato che la loro richiesta di asilo negli Usa inizia il suo percorso. Intanto, vengono accolti alla meglio in centri di detenzione. Numerosi i migranti che stanno scegliendo, invece, di chiedere il permesso d’asilo in Messico, pur di non tornare a casa.

Il racconto di padre Rigoni, da 34 anni in Messico

Padre Flor Maria Rigoni, è un religioso bergamasco della Congregazione dei Padri Missionari di Scalabrini, il cui carisma è quello di aiutare tutte le persone che per qualsiasi motivo sono costrette ad abbandonare la propria patria. Dopo essere stato in Giappone, Germania e Africa, da oltre 30 anni, padre Flor è in Messico, dove ha aperto alcune Casa del Migrante, l’ultima nella capitale. Abita a Guadalajara, la seconda città del Paese con 11 milioni di abitanti. E’ nella Casa del Migrante sorta qui che lo raggiungiamo telefonicamente. Il suo racconto circa il fenomeno migratorio è impressionante. Per cominciare gli chiediamo, intanto, qualcosa di più sulle condizioni di quelle migliaia di persone che attendono il loro destino al confine con gli Stati Uniti:

R. – Questa carovana, nella mia lettura di 34 anni qui in Messico nelle frontiere, è una carovana che fa pensare. La riassumerei così: le periferie sono in marcia. Non si può parlare di una carovana perché sono state almeno quattro e direi che quello che sta succedendo adesso è la tattica di Quinto Fabio Massimo il temporeggiatore; li hanno portati 20 km lontano dal confine, ammassati più o meno… a Tijuana in questo momento fa freddo, è una stagione di pioggia e la strategia è: si dissolveranno adagio adagio, uno dopo l’altro. Questo è un fenomeno nuovo perché chi ha organizzato questa marcia sta facendo di tutto per mantenerli uniti. Però bambini, donne, senza nessuna prospettiva di risolvere i loro casi, una volta che ricevessero il permesso per il "colloquio", entrano negli Stati Uniti e possono passare anche un anno in questi centri di detenzione che sono praticamente piccole carceri o grandi carceri… due bambini che muoiono in questi centri ufficiali del governo: sì, fa pensare.

Chi sono questi uomini queste donne che fanno parte della carovana?

R. - La maggior parte è gente semplice … hanno saputo che altri andavano al nord e si sono accodati… alcuni, migliaia, sono dispersi per il Messico, altri sono tornati indietro... Un elemento che vorrei sottolineare è la forza della disperazione: non hanno niente da perdere. Direi che siamo davanti a delle avvisaglie che si ripeteranno in altre parti del mondo perché la famosa piramide di Gauss della nostra popolazione mondiale sta cambiando completamente la sua fisionomia: in cima si sta creando un gruppo di gente ricchissima. Secondo notizie ufficiali, ogni giorno nasce uno o due miliardari a livello mondiale, quando questa gente non riesce ad arrivare al giorno seguente … Quindi si gioca alla roulette russa. C’ è anche una rabbia contenuta, c’è un tipo di invidia, diciamo, e di domanda profonda: perché loro sì e noi no? Queste avvisaglie ci dicono che le frontiere cioè le  minoranze religiose, etniche, politiche, ormai fanno questo tipo di guerra aperta che è una guerriglia che tocca l’aspetto giuridico, l’aspetto sociale e l’aspetto politico degli Stati.

Ma tutte queste persone perché lasciano le loro terre?

R. - Per il centro America e l’Honduras ormai non possiamo più parlare di migranti economici, è una migrazione generalmente di sopravvivenza. Lo riassumo con una frase di una donna, di una mamma che mi ha lasciato senza parole: “Padre, non si dimentichi che là dove vivo io – era del Salvador – ogni mamma porta sulle sue spalle la sua bara perché ogni momento e ogni luogo può essere il suo cimitero. E’ una situazione di una violenza ormai spietata, senza volto. Mi diceva un ex guerrigliero: “Padre, lei si ricorda quando eravamo nel Salvador, i due fronti, quello della guerriglia e dell’esercito erano molto marcati; oggi siamo circondati da una violenza e da fronti invisibili, con una maschera dove tu puoi incontrare, dietro di lei, tuo fratello, addirittura tuo padre”. Posso dire che abbiamo ricevuto nella frontiera sud, dove entrano, gente ancora con le pallottole nelle gambe o nel torace, con le ferite ancora aperte per il machete, pur di scappare. Questa è una realtà che poche volte si prende in considerazione. Papa Francesco è diventato veramente il segno di contraddizione: difende quelli che vorremo ignorare, le famose periferie che vorremmo allontanare sempre di più. Ed è triste però, perlomeno, la Chiesa in questo è all’avanguardia.

Ascolta l'intervista integrale a padre Flor Maria Rigoni

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02 gennaio 2019, 12:19