2019.01.17 Presentazione libro su Andreotti, i miei santi in paradiso 2019.01.17 Presentazione libro su Andreotti, i miei santi in paradiso 

"I miei santi in Paradiso": l'amicizia di Andreotti con santi e beati del Novecento

In occasione del centenario della nascita di Giulio Andreotti, è stato presentato ieri al Senato il libro "I miei santi in Paradiso" sull'amicizia dello statista, scomparso nel 2013, con alcune delle figure più note del cattolicesimo del Novecento: non solo i Papi ma anche tanti sacerdoti come don Primo Mazzolari e anche Madre Teresa di Calcutta

Debora Donnini – Città del Vaticano

Un Andreotti in qualche modo insolito è quello che emerge dal libro “I miei santi in Paradiso”, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, che racconta attraverso documenti inediti – carteggi privati, racconti e testimonianze rese da lui stesso per processi di beatificazione e canonizzazione - l’amicizia dell’ex leader democristiano, 7 volte presidente del Consiglio e 26 volte ministro, con alcune delle più note figure del Novecento. Dal rapporto con i Papi - il Venerabile Pio XII, San Giovanni XXIII, San Paolo VI e San Giovanni Paolo II  - a quello con tanti sacerdoti come i Servi di Dio don Primo Mazzolari e don Zeno Saltini, il Beato don Carlo Gnocchi, e tanti altri protagonisti del cattolicesimo del '900, fra cui Santa Teresa di Calcutta e il Venerabile Giorgio la Pira. Addentrarsi nelle pagine del Libro - in questa nuova edizione arricchita - è dunque anche un ripercorrere la storia dell’Italia e del mondo di quegli anni. Scopo di questo libro – si legge nella Prefazione – è infatti proprio “ritrovare quelle ‘orme indelebili’ di cui parla Andreotti: l’amicizia, la collaborazione, l’ammirazione che lo hanno legato ad alcune fra le figure più significative del cattolicesimo del Novecento”.

Il cattolicesimo del '900

“Sembrerà strano ma Andreotti, pur così concreto, aveva una predilezione - proprio per come era cresciuto - per esempio, per don Mazzolari, don Milani, don Zeno Saltini e Nomadelfia”, racconta il giornalista Roberto Rotondo, uno dei due autori del testo, nell’intervista di Luca Collodi. Rotondo, che per più di 20 anni è stato vicedirettore responsabile di “30 Giorni”, la rivista diretta dallo stesso Giulio Andreotti, sottolinea anche che “è poi sempre questo doppio binario dell’aspetto personale del Pontefice che colpiva Andreotti - per esempio, in Wojtyla il suo carattere operaio, il suo venire da una famiglia piccolo borghese, cose di questo genere… - e poi invece il grande scenario. Nelle dichiarazioni Andreotti fa intravedere ciò che voleva dire la fede di questi personaggi, nella loro opera di pace e nel loro Pontificato”. Una pagina particolare è quella dell’amicizia con Santa Teresa di Calcutta, che inizia il 3 novembre del 1984 quando Andreotti è in partenza per New Degli per i funerali di Indira Gandhi. Madre Teresa perse il suo volo e Andreotti si offrì di ospitarla su quello di Stato. “Andreotti ricorda la data, il giorno in una maniera eccezionale nei suoi scritti ma ricorda soprattutto il fatto che con Madre Teresa, arrivata all’ambasciata italiana, in un momento di pausa prima dei funerali, recita il rosario. E Andreotti lo dice: ‘E’ stato un momento di paradiso’”, ricorda ancora Rotondo. “Nei carteggi - prosegue - emerge veramente il fatto che Madre Teresa ha un affetto straordinario per Andreotti. Andreotti andava alla Messa del mattino da loro qui a Roma, la aiuta sull’Etiopia...”.

L'incontro ieri si è aperto con l'intervento del presidente dell'Associazione Giovane Europa Angelo Chiorazzo e il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, presentando il testo assieme a Gianni Letta, ha parlato di "libro generazionale": si tratta di un libro di storie e rapporti umani, che parlano anche della storia del cattolicesimo democratico, di una generazione che ha ricostruito un’Italia uscita sconfitta dalla guerra. L’altro autore del libro è mons. Leonardo Sapienza, Reggente della Prefettura della Casa Pontificia, che ha spiegato come questo libro voglia offrire l'opportunità di conoscere più da vicino Andreotti. Mons. Sapienza ha anche raccontato come prima di morire lo statista scrisse alcune lettere ai familiari, con la volontà che fossero aperte solo post mortem e che sono ancora inedite, nelle quali chiede loro di non nutrire mai sentimenti di rancore o vendetta. Andreotti dice di aver fatto nella sua azione politica qualche sgambetto e di aver nutrito ambizioni ma di non aver mai avuto a che fare con la mafia e con l’omicidio Pecorelli e di aver combattuto la mafia con atti pubblici. Anni di sofferenze forse serviti - scrive dicendosi sereno e senza rancore - a bilanciare un corso di vita tutto favorevole: sarebbe ingiusto avere lo stesso premio eterno dei poveri che affollano le chiese e chiedono aiuto che non sempre possiamo dare loro. 

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La presentazione del libro "I miei santi in Paradiso"
17 gennaio 2019, 11:34