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Messico: il dramma dei migranti al confine con gli Usa

I migranti partiti a metà ottobre dall’Honduras in carovana e diretti negli Stati Uniti sono ormai sparpagliati a Tijuana, nel nord-ovest del Messico. Degli oltre 6mila arrivati al confine statunitense solo di 2.500 si sa dove si trovino. Intervista al missionario scalabriniano Pat Murphy

Per più di due settimane circa 6mila migranti, la maggior parte famiglie dell’Honduras, sono stati ospitati in un centro sportivo dalle autorità di Tijuana in un quartiere decentrato, a pochi metri dal muro di frontiera. Ma le forti piogge e le temperature basse che hanno colpito la città questa settimana, hanno in molti casi aggravato delle infezioni respiratorie e le autorità hanno trasferito i migranti in un nuovo rifugio. Il responsabile del Comune di Tijuana per gli Affari sociali, Mario Osuna, ha detto alla Afp che qui si trovano circa 2mila migranti, mentre altri 500 sono rimasti vicino al primo campo, ormai chiuso, dormendo in strada. Restano dunque circa 3.500 migranti, dei quali “ignoriamo dove si trovino, se stanno tornando indietro o cercano aiuto per tornare in patria”, ha spiegato Osuna. Intanto il capo del Pentagono Jim Mattis ha esteso sino alla fine di gennaio la missione delle truppe dispiegate dal Presidente Donald Trump al confine col Messico per fronteggiare la carovana di migranti proveniente dall'Honduras.

Al microfono di Bernardette Reis il missionario scalabriniano padre Pat Murphy, responsabile della Casa del migrante a Tiijuana

R. - Quando abbiamo iniziato la nostra attività il 90% delle persone presenti qui erano deportati provenienti dagli Stati Uniti e il 10% provenienti da altre parti; adesso il 70% proviene dal Centro America. Ieri sera nel nostro centro c’erano 100 persone di cui 70 provenienti dall’America centrale.

Quali sono le loro condizioni? Da cosa fuggono?

R. –Lasciano le loro case per le violenze che subiscono nei loro Paesi, per la mancanza di opportunità, perché la delinquenza comune costringe i bambini, li obbliga ad entrare nelle loro gang. Quelli che hanno delle attività sono costretti a pagare tangenti. Quando si gestisce un’attività che rende 50 dollari al giorno è difficile darne 25 al crimine organizzato. Sono queste sostanzialmente le ragioni per le quali scappano: vogliono più opportunità per la loro vita.

Quando arrivano da voi, in quali condizioni sanitarie si trovano?

R. - La maggior parte delle persone non arriva direttamente qui; arrivano da noi dopo essere passati per i rifugi più grandi: sono stanchi, ovviamente; in questo momento ci sono tre ragazzi con ferite, gambe e caviglie rotte, altre ossa rotte. Fa più freddo qui, di quanto non ne faccia a casa loro; sicuramente non è il posto più freddo del Messico, ma sicuramente è molto più freddo qui che non in Honduras, Guatemala o Salvador …

Quante sono le possibilità di entrare negli Stati Uniti che è il loro obiettivo?

R. – Questo è il punto: tutti loro arrivano con l’illusione di poter attraversare il confine in due o tre giorni. Ma ciò che è accaduto è questo: quando sono arrivati, davanti a loro hanno trovato già 2.000 persone in fila che aspettavano per ottenere l’asilo; molti di loro sono messicani. Negli ultimi mesi gli Stati Uniti ne hanno fatti passare tra i 40 e gli 80 al giorno. La settimana scorsa siamo arrivati a 5.000! Quindi, se facciamo due conti, è probabile che rimangano qui per un mese. Penso anche che arrivino con una scarsa informazione di base, perché non conoscono la realtà: il 95% di loro non avrà mai l’asilo. Per ottenerlo è necessario dimostrare di essere una vittima, devi portare con te lettere, foto, video. Penso che la maggior parte di loro non abbiano avuto questo tipo di informazioni, non sanno cosa debbono fare. Ad esempio, molti di loro hanno bambini, ma mi chiedo se abbiano il certificato di nascita dei loro figli: infatti, quando passano dall’altra parte i bambini saranno separati perché non hanno modo di dimostrare che quelli sono i loro figli. C’è molta disinformazione. Come risultato, in questo momento, stiamo lavorando con le Nazioni Unite. Stiamo cercando di realizzare un programma per coloro che vogliono chiedere asilo in Messico, in modo che possano passare attraverso i nostri uffici. Quindi, nel corso di questa settimana il numero delle presenze nella nostra Casa andrà aumentando; stiamo cercando di reperire anche altri luoghi dove potrebbero andare in attesa dell’asilo politico. Questo cambierà la loro visione della situazione: quando la gente si renderà conto che non è così semplice ottenere lo status di rifugiati, che deve aspettare per mesi, dovranno sostituire il sogno americano con un sogno messicano …

 

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05 dicembre 2018, 12:03