80 anni fa la “notte dei cristalli” tra odio e indifferenza

Intervista con lo storico Marcello Pezzetti: il pogrom del 1938 è “il punto più basso nella storia d’Europa”. Dopo quella notte, il mondo rimase in silenzio e molti Paesi chiusero le frontiere agli ebrei che, disperatamente, cercavano di emigrare

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

E’ la notte tra il 9 e il 10 novembre del 1938: in Germania e in Austria vengono incendiate almeno 267 sinagoghe e distrutte abitazioni ed oltre 7500 attività commerciali gestite da ebrei. Le vetrine andate in frantumi di migliaia di negozi portano i nazisti a coniare il termine di “notte dei cristalli” (Kristallnacht). Ma la furia devastatrice non si abbatte solo su sinagoghe e negozi. Vengono uccisi almeno 91 ebrei. Nei giorni seguenti, circa 30.000 ebrei vengono deportati nei campi di concentramento. E’ l’inizio della Shoah. Nei mesi successivi, molti ebrei vorrebbero emigrare ma sono numerosi  i Paesi che si rifiutano di accoglierli.

"Essere ebrei non è un crimine"...

A scatenare il “pogrom di novembre” è un pretesto: il 7 novembre un giovane studente ebreo, Herschel Grynszpan, si reca nella sede dell’ambasciata tedesca a Parigi e colpisce con tre colpi di pistola Ernst Eduard vom Rath. Il diplomatico muore il 9 novembre. L’omicidio di Ernst Eduard vom Rath si consuma pochi giorni dopo l’espulsione, decisa dalle autorità naziste, di oltre 16 mila ebrei polacchi residenti in Germania. Tra loro, ci sono anche i genitori di Grynszpan. Il giovane ebreo confessa subito le proprie responsabilità e alle autorità francesi dichiara che “essere ebreo non è un crimine”. “Il popolo ebraico - aggiunge - ha il diritto di esistere su questa terra”.

Odio e propaganda

Il 9 novembre del 1938, poche ore prima dello scoppio della violenze, il ministro della Propaganda tedesco, Joseph Goebbels, aveva pronunciato un infuocato discorso. L’occasione è il 15.mo anniversario del Putsch di Monaco, il fallito tentativo colpo di Stato da parte dei nazisti. Goebbels incolpa gli ebrei della morte di von Rath e afferma che non sarebbero state impedite rappresaglie se fossero avvenute spontaneamente. Poco dopo, la furia nazista si abbatte su sinagoghe e negozi.

Un cristiano non può essere antisemita

Ricevendo lo scorso 5 novembre i rabbini caucasici del World Congress of Mountain Jews, Papa Francesco ha lanciato un accorato appello: “Siamo chiamati - ha detto il Pontefice in quell’occasione - a impegnarci perché l’antisemitismo sia bandito dalla comunità umana”. Ancora oggi, ha detto Francesco, “purtroppo atteggiamenti antisemiti sono presenti”.

Francesco: antisemitismo ancora presente

Persecutori e complici

Intervistato da Vatican News, lo storico Marcello Pezzetti, direttore del Museo della Shoah di Roma, ripercorre questa drammatica pagina (Ascolta l'intervista con Marcello Pezzetti):

R. – Il 1938 è un anno cruciale. È un anno in cui la Germania nazista inizia la sua espansione che porterà alla guerra. È  l’anno dell’annessione dell’Austria - l’Anschluss – ed è l’anno del fallimento della Conferenza di Evian. Tale Conferenza, nel mese di luglio, vede l’incontro tra i rappresentanti di 32 Paesi per trovare una soluzione per la questione dei profughi, soprattutto ebrei. Ma questa Conferenza fallisce. Quindi, questo grande pogrom avviene nel momento più terribile che preannuncia poi quello che sarà il disastro relativo al conflitto.

Quali sono state le condizioni che hanno reso possibile proprio una evoluzione così drammatica?

R. – All’interno, la Germania aveva ormai proceduto all’allontanamento dalla società della sua minoranza ebraica: questo era avvenuto nel 1935. Non avrebbe potuto scatenarsi il pogrom se gli ebrei non fossero già stati più che marginalizzati all’interno della società nazista. Avevano perso ogni diritto. A questo punto si è scatenata, poi, la violenza pura. Ma non è qualcosa che nasce da sola all’interno dell’est tedesco. Coinvolge anche altri Paesi. Ad esempio, nel marzo del 1938, il governo polacco aveva emanato una legge sulla revoca della cittadinanza ai cittadini che si trovavano da cinque anni fuori dal Paese. Ed erano soprattutto gli ebrei emigrati all’estero. La Germania nazista espelle, prima che entri in vigore questa legge verso la fine di ottobre del 1938, 17 mila ebrei in Polonia. Tra questi i genitori di Herschel Grynszpan, che per protesta, il 7 novembre, spara ad un membro dell’ambasciata tedesca a Parigi, vom Rath. Quindi è qualcosa che avviene a seguito di una situazione non nazionale, ma internazionale.

Questa tragedia si inserisce in un quadro di indifferenza generale e anche in una situazione di fallimento della comunità internazionale. Ci sono oggi gli antivirus per evitare che un dramma come quello vissuto nel 1938 si possa ripetere?

R. – Io sono molto pessimista su questo. Gli antivirus ci sarebbero anche, ma il problema è che noi non li abbiamo mai presi. L’uomo europeo non ha imparato assolutamente la lezione dal passato. Sono fallite altre iniziative di pace: nella guerra della ex Jugoslavia ogni volta che falliva una Conferenza di pace, pensavo alla Conferenza di Evian e a quello che ne è seguito, al pogrom e a tutto il resto. Si vede che noi le lezioni non le sappiamo accettare.

Ma la memoria resta comunque una medicina fondamentale…

R. – Assolutamente. La memoria però deve essere memoria di qualcosa: non deve essere una memoria al servizio della politica. Deve essere memoria di quello che è avvenuto. Oltre al fatto che la Germania in quel caso ha finito di essere una nazione civile, la conseguenza più grossa è l’emigrazione “forzata” della minoranza ebraica. Un dramma che quest’ultima ha dovuto subire da parte del suo governo. Ma questa emigrazione fallisce anche perché i Paesi che dovrebbero accogliere gli ebrei non lo fanno. Votano per quote restrittive di immigrazione. Anche oggi sta succedendo questo: penso alle navi che noi guardiamo invece di accogliere, e penso a quelle navi che all’epoca dovevano partire per l’allora Palestina. Navi bloccate dagli inglesi, o da tutti i Paesi cosiddetti “civili” che non hanno accolto. Noi oggi siamo un insieme di Paesi “civili” che continuano a non accogliere.

Dunque, oggi avremmo una Europa diversa se non ci fosse stato quel pogrom?

R. – Assolutamente sì: nel 1938 la Germania compie un pogrom di una violenza mostruosa nei confronti di una parte di sé. E questo darà inizio ad una radicalizzazione interna che porterà al fatto che molti commetteranno, realizzeranno la shoah, e moltissimi altri l’accetteranno, prima in Germania e poi nel resto d’Europa. Quindi non dobbiamo mai sottovalutare l’importanza di alcuni avvenimenti. È qualcosa che noi sentiamo anche oggi. Ed è qualcosa che allora ha portato ad una devastazione totale dell’Europa. Il punto più basso che l’Europa ha avuto nella sua storia. Le cose oggi sono assolutamente cambiate, ma anche la morte di poche persone è qualcosa che noi dovremmo incominciare a ritenere inaccettabile.

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09 novembre 2018, 08:00