100 anni fa la fine della Grande Guerra ma è la premessa di una pace avvelenata

E’ l’11 novembre del 1918: in un vagone ferroviario, i rappresentanti della Germania firmano l’armistizio a Compiègne, in Francia, che mette fine alla prima guerra mondiale, costata la vita ad oltre 15 milioni di persone.

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

Nel 1918 la Grande Guerra, definita da Papa Benedetto XV una “orrenda carneficina” e una “inutile strage”, è finalmente un capitolo chiuso. Lo ha ricordato anche Papa Francesco all'Angelus domenicale. Nella Lettera Enciclica “Quod Iam Diu” del primo dicembre 1918, il Pontefice esprime la propria gioia per la cessazione del conflitto: “Il giorno che il mondo intero - scrive Benedetto XV - aspettava ansiosamente da tanto tempo e che tutta la cristianità implorava con tante fervide preghiere, e che Noi, interpreti del comune dolore, andavamo incessantemente invocando per il bene di tutti, ecco, in un momento è arrivato: tacciono finalmente le armi”.

Stragi e devastazioni sospese

“Per la verità - aggiunge Benedetto XV - la pace non ha ancora posto solennemente la parola fine alla crudelissima guerra, tuttavia quell’armistizio che intanto ha sospeso le stragi e le devastazioni compiute in terra, nel mare e nell’aria, ha felicemente aperto la porta e la via alla pace”. “Per spiegare come sia avvenuto improvvisamente tale cambiamento - si legge nella Lettera Enciclica Quod Iam Diu - potrebbero essere addotte certamente molteplici e svariate cause, ma se si vuole cercare veramente la ragione suprema bisogna risalire assolutamente a Colui che governa tutti gli eventi e che, mosso a misericordia dalle perseveranti preghiere dei buoni, ha concesso all’umanità di riaversi alfine da tanti lutti ed angosce”. 

Risentimenti tedeschi

L’armistizio di Compiègne e il 1918 sono, purtroppo, l’inizio di un tratto di storia che sfocia in un'altra tragedia, quella della Seconda Guerra Mondiale. Più di otto mesi dopo la fine dei combattimenti, venne firmato, il 28 giugno del 1919, il trattato di Versailles. Alla Germania vengono imposte pesanti condizioni politiche e finanziarie. Successivamente, la presa del potere da parte dei nazionalsocialisti riapre abissi che l’armistizio del 1918 sembrava aver allontanato. Negli anni del regime nazista i delegati della Germania, che avevano firmato la resa incondizionata, sono definiti i “traditori di novembre”. Sono accusati di aver siglato una resa, non necessaria, e di aver “pugnalato alla schiena la Germania.

1940: a Compiègne si capovolge la storia

Nel 1940, sullo stesso treno e nello stesso luogo, si scrive una simile ma capovolta pagina di storia rispetto a quella di 22 anni prima: il 22 giugno, nel vagone utilizzato nel 1918, sono i rappresentanti della Francia a firmare un armistizio con la Germania. Il mondo è totalmente cambiato: la via della pace, aperta dopo l'armistizio del 1918, è già stata abbandonata. Un nuovo devastante conflitto sconvolge il mondo: le rovine causate dalla guerra - afferma Papa Pio XII in un discorso pronunciato il 2 giugno del 1940 - “salgono a proporzioni gigantesche”.

Una pace fragile

Per lo storico e politologo Paolo Pombeni dopo la resa della Germania e l’armistizio del 1918, si è arrivati ad una “pace avvelenata” che ha favorito l’ascesa del partito nazista. (Ascolta l'intervista con Paolo Pombeni):

R. - La realtà di quel momento per quanto riguarda la Germania era quella di un Paese crollato in maniera anche inaspettata. Addirittura, gli alleati avevano piani in base ai quali la guerra si sarebbe conclusa nelle migliori delle previsioni alla fine del 1919, ma più probabilmente nei primi mesi del 1920. Si pensava che dovessero entrare chiaramente in funzione le truppe americane che stavano arrivando. Invece in Germania crolla quello che si poteva definire il “fronte interno”: ci sono state delle sollevazioni nel Paese. L’alto comando tedesco si rende conto che la guerra non è vincibile e che proseguirla significherebbe semplicemente avere una marea di morti in più. Quindi l’alto comando tedesco riferisce all’imperatore che non c’è alternativa alla resa. Formalmente è un armistizio ma, di fatto, è una resa.

Si apre la via della pace ma già si intravedono presagi di guerra …

R. - È una pace avvelenata che diventerà doppiamente avvelenata: quando si andrà alle trattative vere e proprie per la pace - l’anno dopo a Versailles - i vincitori vorranno ottenere la clausola in base alla quale la Germania è colpevole della guerra. Per la prima volta nelle relazioni internazionali si stabilirà questo principio per cui la Germania essendo colpevole, deve pagare tutti i danni, tutto il costo della guerra.

Possiamo dire che se non ci fossero state quelle condizioni dopo l’armistizio del 1918 non ci sarebbe stata l’ascesa del partito nazista e di Hitler?

R. - Naturalmente nella storia è sempre impossibile dirlo con certezza. Però si può pensare che, sicuramente, sarebbe stato molto più difficile. Non dimentichiamo che, non a caso, quando si raggiunge la pace dopo la Seconda Guerra Mondiale, questa clausola di responsabilità viene totalmente lasciata da parte. Nessuno dei Paesi sconfitti viene considerato responsabile. Ai Paesi usciti sconfitti dal conflitto non vengono addebitati i costi quanto avvenuto. Chi perde paga, ma non in quei termini.  Venne fatto così proprio per evitare che si ripetesse la tragedia dell’avvento al potere di forze revansciste.

La realtà attuale è molto diversa. Dopo il 1918 ,la scena politica è dominata appunto dall’ascesa dei nazionalismi. Ma anche oggi però, l’onda nazionalista trova nuovi spazi. Ci sono delle analogie - seppur nelle differenze - che possono far preoccupare?

R. - Ci sono, senz’altro, delle ragioni di preoccupazione. Non c’è una guerra perduta, non c’è una contrapposizione di tipo militare. Però, indubbiamente, questo ritorno degli egoismi nazionali, questo terrore che hanno tutti i Paesi di perdere la loro prosperità per colpa di altri Paesi è molto preoccupante ed è molto pericoloso. Indubbiamente, una parte di queste pulsioni che ci sono – pensiamo a quelle dell’Europea dell’Est – ancora hanno le loro radici, seppur lontane, in quello che è successo nel 1918.

Tra i baluardi a difesa della pace ci sono sempre stati i Pontefici. Papa Benedetto XV all’epoca della Prima Guerra Mondiale parlava di inutile strage. Oggi Papa Francesco lancia sempre accorati appelli. Sono voci che fanno sperare nella pace…

R. - Non c’è dubbio. È il tentativo di presentare agli uomini questa verità che dovrebbe essere lapalissiana ma che non lo è: con la guerra tutto è perduto, con la pace tutto si può costruire. La guerra non è soltanto quella guerreggiata, che certamente è l’aspetto peggiore. Ci sono anche le guerre commerciali, l’indisponibilità alla solidarietà internazionale reciproca. E cose di questo tipo che oggi minacciano almeno il mondo occidentale, in assenza per ora – e speriamo per un bel po’ – di una minaccia di guerre di tipo militare.

 

(Ultimo aggiornamento: domenica 11 novembre 2018, ore 12.30)

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10 novembre 2018, 13:52