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Hospice Neonatale: dare un senso pieno anche alla vita breve

Al Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della famiglia, medici e teologi hanno cercato una risposta alle domande che vivono nel cuore dei genitori di bambini nati con malformazioni incompatibili con la sopravvivenza

Eugenio Murrali - Città del Vaticano

“Prima della morte c’è la vita”, con questa certezza Elvira Parravicini, neonatologa del Columbia University Medical Center di New York dirige il Neonatal Comfort Care Program. Il suo desiderio – ha spiegato durante il partecipatissimo Incontro alla Pontificia Università Lateranense – è che anche la breve esistenza di bambini venuti al mondo senza speranza di vita, sia per loro e per le loro famiglie un attimo di bellezza e di amore in cui “il divino è presente e si esprime totalmente”.

Curare il neonato e la famiglia

“C’è sempre qualcosa da fare” anche quando sembra che non ci sia nulla da fare, è questo lo spirito della Comfort Care diretta dalla dottoressa Parravicini. Nel suo hospice ci sono bambini con condizioni life-limiting, cioè con malattie inguaribili. Ma ciò che è inguaribile non è incurabile e la cura consiste nel cercare di far raggiungere uno stato di benessere a questi neonati e alle loro famiglie anche in un momento così doloroso. Chi ha vissuto questa esperienza di Comfort Care la descrive come “un corridoio bellissimo che conduce con calma da questo mondo al successivo”, oppure come “amore allo stato puro, bisogno di bontà incontaminata”.

Il Neonatal Comfort Care Program prima della nascita…

Il programma portato avanti nell’hospice neonatale si prefigge alcuni obiettivi. Queste cure hanno lo scopo di aiutare i genitori, già durante la gravidanza, a gioire della vita presente del bambino, di prepararli per il giorno della nascita. Questo accompagnamento prevede un piano di cura medico, un supporto della famiglia, anche sul piano spirituale. Ai genitori viene spiegato che la durata della vita può essere molto variabile, gli viene presentato il caso migliore e peggiore, li si aiuta a comprendere una pienezza che va al di là del valore temporale.

…e dopo la nascita

Perché bambino e famiglia possano raggiungere uno stato di benessere, il programma prevede alcune linee guida. Il bonding, cioè il legame con il bambino, riserva spazi privati alla famiglia e al neonato. La Kangaroo care prevede che il bambino venga tenuto in braccio, che siano ‘mantenute le temperature’. Importantissimi sono inoltre la prevenzione della fame e della sete, attraverso l’alimentazione al seno e al biberon o altri metodi, e la lenizione del dolore, che viene alleviato con trattamento non farmacologico o farmacologico.

Assistere i genitori anche spiritualmente

Nella conferenza – introdotta e moderata dal professor Juan José Perez-Soba, ordinario di Teologia Pastorale del matrimonio e della famiglia del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II – è stato affrontato anche il tema del sostegno spirituale. Ne ha parlato don Luigi Zucaro, assistente spirituale all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, in un intervento dal titolo “Accompagnare alla buona vita e alla buona morte”. Il sacerdote ha osservato che spesso la malattia del bambino produce nei genitori un senso di colpa. Questo avviene perché ciascuno cerca di dare un senso alla sofferenza. Zucaro ricorda che anche nel Vangelo incontrando un cieco, i discepoli, nella loro umanità, chiedono a Gesù: “Maestro, se quest’uomo è nato cieco, di chi è la colpa? Sua o dei suoi genitori?”. Secondo don Luigi, che guida da anni il gruppo “Tenuto per mano”, il buon cappellano più che spiegazioni deve offrire una testimonianza, anche al personale medico, deve cioè essere qualcuno che ha incontrato Dio “faccia a faccia” come in Giobbe 42: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora ti conosco faccia a faccia”. Serve una persona che abbia vissuto un’esperienza di dolore e che sia “risorta dentro”.

Il dolore generativo della famiglia

La psichiatra Monica Grygiel, del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II, si è soffermata sul tema della generazione. L’hospice – ha spiegato – non è solo un “luogo in cui si entra per essere accompagnati alla morte”. Esso è anche uno spazio in cui viene “abbracciato il dolore di una famiglia”, che vive una profonda sofferenza: da un lato può vivere questa esperienza della morte come un tradimento ricevuto dalla vita, dall’altro i genitori possono sentire di aver tradito il loro desiderio di dare la vita. “L’hospice parla di legami”, di amore. La relazione con un figlio nasce prima del parto. Nell’hospice si dà volto a ciò che esiste già, a un attaccamento prenatale, accogliendo e dando senso a un desiderio di vita e di vita bella. Il Comfort Care è dunque – secondo la dottoressa Grygiel – un’umanizzazione della cura che non solo afferma il diritto di cittadinanza di ogni individuo, ma aiuta a comprendere come il dolore possa essere generativo, un processo in cui si riconosce il bambino reale e che favorisce l’elaborazione del lutto. Questo lutto è “un processo maturativo fondamentale”, perché solo chi accetta di non essere il padrone assoluto, di non essere il creatore, può generare.

 

 

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26 ottobre 2018, 11:01