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Cristiani iracheni a Mosul Cristiani iracheni a Mosul 

Il dramma dei cristiani iracheni perseguitati

Il card. Louis Raphael Sako ricorda le sofferenze e le persecuzioni subite dalla comunità cristiana in Iraq nell’ultimo decennio. Per il futuro occorre educare alla cultura dell'accettazione dell'altro e al rispetto tra persone appartenenti a religioni diverse

Andrea Gangi – Città del Vaticano

Il primate caldeo, il card. Louis Raphael Sako, ha pubblicato un messaggio sul sito del patriarcato caldeo, ripreso dall'agenzia AsiaNews. Nel messaggio, il porporato denuncia i rapimenti, i riscatti, gli omicidi e le distruzione di case che negli ultimi anni hanno destabilizzato l’iraq. Ciò ha causato una progressiva “perdita di fiducia” da parte dei cristiani, i quali sono stati costretti ad emigrare.

Garanzia e dignità

Secondo il cardinale, oggi più che mai è importante ricostruire il tessuto sociale e politico e garantire un futuro ai cristiani perseguitati, che in passato hanno dato “contributi molto importanti sotto il profilo economico, sociale e culturale”. E aggiunge che occorre anche restituire loro la dignità perduta

Servitori della patria

“I cristiani in Iraq - spiega Sako - sono un popolo originario. Le radici dei cristiani irakeni risalgono al primo secolo d.C.”. Questo è il primo dei motivi per cui il card. Sako afferma che i cristiani dovrebbero restare nella propria terra, dove, attualmente, l’80% di loro è emigrato a causa delle continue persecuzioni. (Si ricordi ad esempio la strage del marzo scorso, quando hanno perso la vita 3 cristiani assiri, e il ritrovamento di una fossa comune contenente 40 corpi). Il priomate caldeo esprime profonda preoccupazione per la sorte dei cristiani, che “nel corso della loro lunga storia hanno servito il loro Paese in modo assai decisivo e influente a tutti i livelli, fra cui quello economico, culturale e sociale. Essi credono fermamente che l’Iraq sia la loro terra di origine e parte integrante della loro identità e che essi rappresentino una parte fondamentale della società”. Il card. Sako conclude che i cristiani iracheni rifiutano di essere lasciati ai margini del popolo iracheno. “I cristiani desiderano, dal profondo del cuore e per tutti, la pace, la stabilità, una vera uguaglianza, un reale riconoscimento della cittadinanza, la libertà e la dignità.

Insignificanti

“I cristiani iracheni – continua Sako - hanno subito delle pressioni sociali e politiche e vengono trattati come una minoranza insignificante”. Sako ricorda la guerra fra l’Iran e l’Iraq, l’occupazione del Kuwait, i 13 anni di embargo, la caduta del regime nel 2003 e i fallimentari governi successivi. Tutto ciò ha portato instabilità, perché sono mancate le fondamenta di uno Stato nazionale che consolidasse una cultura della cittadinanza e dell’uguaglianza. Hanno trionfato settarismo, tribalismo e fondamentalismo. “Ma la religione - dice - dovrebbe essere basata sulla misericordia, sull’accettare l'altro, sul buon comportamento verso tutti”.

Le persecuzioni dell’Isis

“Il deterioramento della situazione degli ultimi 13 anni e le sue conseguenze tra cui rapimenti, riscatti, omicidi, bombardamenti e sequestri di case, ha fatto sì che i cristiani abbiano perso la fiducia e la speranza per un futuro migliore, e tutto ciò che li ha costretti a lasciare tutto ed immigrare”. Sako racconta poi il dilagare dell’Isis e come esso sia diventato il simbolo della persecuzione cristiana e sia stato un altro motivo di emigrazione. “Lo Stato Islamico aveva dato tre scelte ai cristiani: la conversione all'islam, il pagamento di una tassa di protezione o l’abbandono forzato e immediato della loro terra, pena la morte”.

Il sostegno internazionale all’emigrazione

“Anche le organizzazioni internazionali hanno incoraggiato i cristiani a emigrare – continua Sako - offrendo loro tutto il sostegno in questa direzione”. E anche i mass media hanno fatto lo stesso, sottolineando che non ci sarebbero stati più cristiani in Iraq. Sako spiega che i cristiani iracheni “sentono che la loro dignità è attaccata, la loro fiducia è persa, la loro esistenza millenaria è minacciata. Ed è così anche per quanto riguarda la loro appartenenza, la storia, l’identità, fede, e lingua. I cristiani erano circa il 5% della popolazione irachena, circa un milione e mezzo prima della caduta del regime, ed erano un’élite nazionale, culturale, sociale ed economica”. Tuttavia, ribadisce Sako, dall’inizio del 2003 sono stati uccisi circa 1.220 cristiani e sono state sequestrate 23mila proprietà immobiliari dei cristiani, 58 chiese sono state fatte saltate in aria; e, sotto la pressione internazionale, un milione dei cristiani, su un totale di un milione e mezzo, ha lasciato l’Iraq e ha intrapreso la strada dell'emigrazione.

Perché restare?

“I cristiani iracheni e le altre minoranze hanno bisogno di rassicurazioni per poter rimanere nella loro terra, proseguire nella loro presenza millenaria e continuare la loro convivenza con le altre componenti della società. Loro vogliono che il governo li guardi con gli stessi occhi con cui guarda gli altri gruppi, facendoli sentire cittadini di pari dignità, sia nei diritti che nei doveri. Perché la cittadinanza, come sappiamo, non è basata sulla religione e la dottrina, ma su basi comuni”. Sako spiega che, per non abbandonare la propria terra, i cristiani hanno bisogno di soluzioni rapide e chiare su alcune questioni, come il rispetto dell’identità, delle zone storiche e la protezione da minacce e leggi discriminanti. “C’è una grande necessità di ricostruire la fiducia fra i cristiani e i loro vicini nelle zone liberate da Daesh tramite procedure concrete quali la punizione dei criminali, il risarcimento dei danni a favore delle vittime, la restituzione delle proprietà immobiliari ai proprietari originali, la rimozione delle mine dai loro campi, la ricostruzione delle loro abitazioni e il miglioramento nei servizi essenziali, affinché possano tornare nelle loro case.”

Strategie adeguate

“La situazione attuale – spiega Sako - richiede una strategia precisa, per stabilire la giustizia sociale e le pari opportunità. Ed è molto importane lavorare sul discernimento, l’insegnamento, l’educazione alla cultura dell’accettazione dell’altro, e il rispetto reciproco tra le persone appartenenti a religioni diverse. Tutto questo bisogna farlo nelle case, nei luoghi di culto, nelle scuole, sui libri e i programmi scolastici, e nella formazione degli insegnati. Infine, bisogna condannare qualsiasi insulto o aggressione contro qualsiasi cittadino, soprattutto se causato dalla sua appartenenza religiosa, dottrinale, etnica o di sesso”.


 

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24 agosto 2018, 11:29