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L'Ecuador ricorda mons. Proaño, apostolo degli indigeni

Trent’anni fa moriva mons. Proaño, il vescovo che “visse il Vangelo dalla parte degli indigeni”. All’università di Quito si è organizzato un convegno per ricordarlo

Andrea Gangi – Città del Vaticano

Si è concluso sabato scorso all’Universidad Andina Simón Bolivar di Quito, capitale dell’Ecuador, il convegno dedicato al trentesimo anniversario della morte di mons. Leonidas Proaño, vescovo di Riobamba e pioniere della pastorale indigena.

Dignità ai nativi

Mons. Proaño si battè per la dignità dei popoli nativi, in un’epoca in cui gli indigeni erano considerati come oggetti o animali da soma. L’Ecuador, specialmente nella regione del Chimborazo, era una realtà ancora feudale, con situazioni di schiavitù nei confronti degli indigeni. Mons. Proaño iniziò un lavoro mirabile, allo stesso tempo faticoso e lento, per riscattare la dignità degli indigeni, affinché si sentissero persone. Il vescovo desiderava che si riconoscessero i loro diritti, sia individuali sia collettivi. Si preoccupò di “vivere il Vangelo dalla parte degli indigeni”. Oggi il suo lavoro, frutto dell’attualissimo messaggio che ci ha lasciato, continua con le attività delle organizzazioni indigene come la Conaie e la pastorale india dell’America Latina.

Accettato dai poveri e dagli indigeni

Nel convegno, Nidia Arrobo Rodas, rappresentante della fondazione Pueblo Indio e amica del vescovo di Riobamba, ha tracciato un profilo spirituale di mons. Proaño articolato in sei punti: la fedeltà alle origini, l’insegnare apprendendo, il saper ascoltare, il rispetto per l’altro, l’attenzione all’attualità e il restituire la dignità. “Credo che un importante apporto al processo di insegnamento e apprendimento dell’opera pedagogica di mons. Proaño – ha detto Arrobo Rodas - sia il principio dell’essere povero e farsi povero. Era sempre fedele alle proprie origini, che continuamente ricordava, e questo gli permetteva di essere completamente accettato dai poveri e dagli indigeni”. Ha proseguito la relatrice: “Il vescovo fu un grande maestro, però a sua volta un alunno eccellente, insegnava apprendendo. Non dimostrava ciò che sapeva. Quando gli dicevano che era il maestro, ripeteva le parole di Gesù: ‘Io non sono il maestro, solo Dio è il Maestro’. Per mons. Proaño era importante mantenere questa relazione di eguaglianza con gli indigeni, non gli interessava creare distanze tra chi sapeva e chi no, e neanche barriere”.

Un convegno internazionale

All’appuntamento hanno preso parte oltre cento delegati indigeni provenienti da Ecuador, Argentina, Bolivia e molti altri Paesi latinomericani, oltre che nazioni provenienti da tutto il mondo. Al convegno ha partecipato, tra gli altri, mons. Eugenio Arellano, vicario apostolico di Esmeraldas e presidente della Conferenza episcopale ecuadoriana, che ha esortato la Chiesa ecuadoriana a seguire l’esempio di mons. Proaño per una Chiesa povera tra i poveri, che sappia promuovere un rilancio della comunità ecclesiale. “Non possiamo credere nella Chiesa – ha detto - se non dà testimonianza di semplicità e povertà, così come visse mons. Proaño”

 

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28 agosto 2018, 12:16