Centrafrica: p. Trinchero, abitanti prendano in mano loro futuro

Intervista col carmelitano scalzo che da 9 anni opera in Centrafrica, in un momento in cui nel Paese si sono riaccesi focolai di guerriglia

Giada Aquilino – Città del Vaticano

“O il Papa torna un’altra volta in Centrafrica, ma dubito che questo sia possibile, oppure veramente il Paese deve prendere in mano la sua storia, la sua evoluzione” e lavorare per una riconciliazione definitiva, al di là dei conflitti interni, al di là delle ingerenze dall’estero. Queste le speranze di padre Federico Trinchero, carmelitano scalzo a Bangui, da 9 anni nel Paese africano e in questi giorni in Italia. Un missionario che ha vissuto in prima persona la guerra scoppiata nel 2013 con sanguinosi scontri tra milizie Seleka e gruppi anti-Balaka e il rovesciamento del presidente François Bozizé. Un’esperienza di dolore ma anche di vicinanza alla gente, di accoglienza di sfollati in fuga dalle violenze, senza distinzione di etnia o credo religioso. Senza mai perdere il sorriso, padre Federico si dice convinto di come ora “si debba lavorare tanto a livello di Chiesa e di società per formare una nuova classe dirigente”. “Spero proprio che dalle scuole cattoliche, dai movimenti, dalle parrocchie - afferma il missionario piemontese - possa emergere anche un piccolo gruppo di persone capace di riprendere in mano il Paese”, proprio come ha sollecitato l’arcivescovo di Bangui, il cardinale Dieudonné Nzapalainga.

L’attacco a Notre Dame di Fatima

D’altra parte, la situazione in Centrafrica nelle ultime settimane si è profondamente aggravata. “C’è stata una fase molto acuta della guerra, nel 2013 - 2014; poi, dopo la venuta del Papa, nel novembre 2015, c’è stata una tregua che è durata quasi un anno; in seguito, purtroppo, in tutto il Paese si sono riaccesi dei focolai di guerriglia e di scontri, che ultimamente hanno investito anche la capitale”, racconta. All’inizio di maggio, un attacco con granate e colpi di armi semiautomatiche ha colpito la parrocchia di Notre Dame di Fatima, nella capitale, uccidendo una ventina di persone, tra cui l’abbé Albert Toungoumale-Baba e un gruppo di fedeli. La stampa internazionale ha parlato di violenza confessionale, ma lo stesso cardinale Nzapalainga ha evidenziato come le ragioni profonde di tali instabilità risiedano nella ricerca dell’oro, dei diamanti e delle risorse minerarie del Paese.

Mercenari da Ciad e Sudan

“Nel 2013 - 2014 – spiega padre Trinchero - i campi erano ben divisi e determinati: da una parte la Seleka, dall’altra gli anti-Balaka. La Seleka, a maggioranza musulmana, contava soprattutto all’inizio su molti soldati mercenari dal Ciad e dal Sudan. Quindi all’inizio – io ricordo benissimo quando la guerra è scoppiata – non sembrava tanto un colpo di Stato, quanto una invasione dall’estero, anche perché queste persone che arrivavano erano fisicamente diverse dai centrafricani e non parlavano il Sango, che è la lingua locale. Poi la Seleka ufficialmente è stata dissolta e questi gruppi, disseminati per il Paese, oggi hanno ognuno i propri obiettivi e ognuno le proprie operazioni. Quindi in questo momento si vive una fase di grande disordine”, con l’80 per cento del territorio nelle mani dei combattenti.

Le ingerenze straniere

Negli ultimi giorni i leader religiosi locali si sono riuniti e hanno chiaramente invocato uno ‘stop’ alle ingerenze straniere. “All’inizio - spiega il carmelitano scalzo - si parlava soprattutto del Ciad, della Francia, del Sudan, poi anche della Cina e in questo momento pure della presenza della Russia. Ci sono diversi interessi perché comunque il Paese è ricco di risorse e si trova in una posizione centrale dell’Africa”. Il cardinale arcivescovo di Bangui parla di “queste interferenze e utilizza spesso il termine di una sorta di ‘agenda segreta’ che in qualche modo blocca il processo di pace”. Ma è anche vero che il porporato ha pure insistito “sulla responsabilità dei centrafricani, su un gesto, un atto di responsabilità che dovrebbe partire dai centrafricani, una sorta di amore per la propria patria per prendere in mano le sorti del Paese”.

L’aumento degli sfollati interni

Proprio in queste ore l’Onu ha lanciato l’allarme per un aumento in un anno del 70 per cento degli sfollati. Adesso sono perlopiù concentrati “al nord”, riferisce padre Trichero, che punta inoltre l’attenzione sull’altra grande emergenza del Centrafrica. “Il problema del Paese è la povertà: era povero prima della guerra e adesso è poverissimo. Non c’è un progresso e lo hanno denunciato anche i vescovi. Non si riesce proprio ad agganciare il treno dello sviluppo”. Eppure, assicura, nessun missionario pensa ad andar via dal Centrafrica, perché la speranza è davvero nella rinascita del Paese e dei suoi abitanti.

Ascolta e scarica l'intervista a p. Trinchero

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30 maggio 2018, 14:06