Donne pakistane protestano per violenze e discriminazioni Donne pakistane protestano per violenze e discriminazioni 

Il Pakistan prega per Asia Bibi e i tanti cristiani perseguitati

Oggi la Giornata di preghiera e digiuno. È stata proprio la donna imprigionata da 9 anni con presunte accuse di blasfemia a volerla e tutta la comunità cristiana locale ha aderito

Salvatore Tropea – Città del Vaticano

L’incubo sembra avere uno spiraglio verso la liberazione. Torna infatti ad avere speranza Asia Bibi, dopo che il magistrato Saqib Nisar, della Corte Suprema del Pakistan, ha dichiarato di volersi occupare personalmente del suo caso, stabilendo al più presto una nuova udienza. Proprio i famigliari di Asia hanno accolto la sua richiesta di una Giornata di preghiera per la sua scarcerazione e hanno informato la Chiesa locale e i gruppi cristiani del Paese, che hanno subito risposto all’appello, insieme con la Renaissance Education Foundation di Lahore che si occupa dei familiari della donna e delle spese legali del caso.

Non solo Asia Bibi

La Giornata di preghiera è un’occasione per ricordare le tante altre persone che in Pakistan sono vittime della discriminazione religiosa. Lo sottolinea a Vatican News medico pachistano Paul Bhatti, presidente dell’Alleanza delle minoranze del Pakistan e fratello di Shahbaz, ministro per le minoranze del Paese asiatico, assassinato il 2 marzo 2011 da un estremista islamico. “Recentemente – racconta Bhatti – una ragazza è stata uccisa perché non voleva sposare un musulmano e convertirsi all’Islam. Sempre in questi giorni – prosegue – due uomini di Lahore sono stati accusati ingiustamente di blasfemia”. Paul Bhatti, che è stato anche lui ministro per le minoranze, sottolinea però che “sono anche tante le persone, soprattutto musulmane, che si stanno impegnando non solo con la preghiera per la liberazione di Asia Bibi”.

La strada della diplomazia

In questi giorni si è assistito, nel paese asiatico, anche ad un tam tam mediatico e social per la liberazione di Asia Bibi. Delle manifestazioni eclatanti che però secondo Bhatti spesso “non portano a nulla e anzi possono danneggiare il processo di scarcerazione”. Per questo motivo l’unica via percorribile “è quella della diplomazia – spiega il medico pachistano – e una prova arriva dalle dichiarazioni del figlio di Benazir Bhutto che ultimamente ha parlato di Asia Bibi dicendo che è innocente. Si è parlato – precisa Bhatti – anche della legge sulla blasfemia che dovrebbe essere rivista”.

Il calvario di Asia

Il 19 giugno 2009, la cattolica Asia Bibi veniva presa in custodia dalla polizia nel suo villaggio di Itttanwali, nella provincia del Punjab, denunciata da alcune vicine musulmane per una presunta offesa al profeta Maometto. Formalmente incriminata il mese successivo è condannata a morte per blasfemia l’11 novembre 2010, da allora ha trascorso in carcere – attualmente quello di Multan nel Punjab – spesso in isolamento per tutelarne l’incolumità, prima il tempo dell’appello e poi, dal luglio 2015, l’attesa di una sentenza finale della Corte suprema pachistana sulla legalità di tutto il procedimento contro di lei. Da quel 19 giugno sono passati 3234 giorni.

Ascolta l'intervista a Paul Bhatti

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27 aprile 2018, 14:47