Veglia per la pace in Nicaragua Veglia per la pace in Nicaragua 

Nicaragua: un missionario, speriamo non ci sia bagno di sangue

Mentre si tenta un dialogo tra il presidente Ortega e la società civile, la gente spera che non scoppi una guerra civile, racconta da Managua un sacerdote italiano da 40 anni in Nicaragua

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Ancora tensione in Nicaragua, nonostante il presidente Daniel Ortega abbia deciso di rilasciare dozzine di studenti arrestati durante le proteste che, dalla scorsa settimana, hanno provocato almeno 34 morti. Le manifestazioni di piazza, duramente represse, erano cominciate due mercoledì fa, con i giovani universitari - a cui si erano uniti imprenditori, contadini, gente comune - scesi in strada a protestare contro la riforma delle pensioni e della sicurezza sociale voluta dalle autorità di Managua. Il testo è stato poi ritirato.

Gli interventi dell’Onu, del Papa, della Chiesa locale

Le Nazioni Unite si sono dette preoccupate per possibili “esecuzioni illegali” e violazioni dei diritti umani commesse negli ultimi giorni, mentre domenica scorsa al Regina Coeli il Papa aveva auspicato la fine di “ogni violenza”, evitando “un inutile spargimento di sangue”, e aveva pregato affinché “le questioni aperte” vengano risolte “pacificamente e con senso di responsabilità”. La Conferenza episcopale del Nicaragua (Cen) ha intanto accettato di essere mediatrice e testimone del dialogo fra il presidente Ortega - ex guerrigliero, tornato al potere nel 2007, dopo aver controllato il Paese dal 1979 al 1990 - e i diversi settori che, ancora ieri, hanno animato la protesta di piazza. L’arcivescovo di Managua, il cardinale Leopoldo Brenes, ha esortato le parti ad “evitare ogni atto di violenza”. Il vescovo ausiliare della capitale, mons. Silvio Baez, ha convocato per sabato un pellegrinaggio di preghiera in città per la riconciliazione nazionale. Anche i gesuiti dell'America Centrale, la Conferenza dei provinciali dell'America Latina e i gesuiti di Canada e Stati Uniti hanno rilasciato dichiarazioni a favore della pace in Nicaragua, condannando la repressione. Pure i salesiani hanno espresso una forte condanna della repressione governativa contro la popolazione.

La testimonianza da Managua

“L’unica cosa che speriamo tutti in Nicaragua è che non ci sia una guerra civile, un bagno di sangue”, dice padre Pino Pronzato, rettore del seminario missionario Redemptoris Mater di Managua, sacerdote italiano da 40 anni nel Paese centroamericano. In queste ore, prosegue, si tiene una marcia, “questa volta organizzata dal governo, dalle imprese statali, dall’esercito, dalla gioventù sandinista”. A proposito invece di quelle partite la scorsa settimana, il sacerdote racconta di come sia stata una “cosa spontanea”, “non programmata”, di fronte al tentativo di aumentare “i contributi che devono versare sia l’impresa privata, sia il lavoratore” e di diminuire “del 5% le pensioni”. “Questa - aggiunge padre Pino - è stata la scintilla che ha messo in movimento la gente ed è scoppiata come una rabbia: il Nicaragua è una Nazione che ha vissuto una rivoluzione, ha buttato giù una dittatura, qui c’è povertà, ci sono i ‘ricchi ricchi’ e i ‘poveri poveri’ e adesso i morti”.

Un silenzio che non è normale

Il sacerdote racconta di come ora sia calato il “silenzio” in città: “questo silenzio non è normale, come una nube, tutti stanno chiusi in casa, sono andati nei supermercati a fare le spese per riuscire a sopravvivere”. “La Conferenza episcopale ha accettato questo dialogo di mediazione”, spiega padre Pronzato, ma “dialogare quando, come, su che cosa, adesso è questo il punto su cui si sta discutendo”.

Ascolta e scarica l'intervista a p. Pino Pronzato

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26 aprile 2018, 18:18