Ucraina, il vescovo di Kharkiv: siamo Chiesa sotto le bombe che ama sfidando la morte
Svitlana Dukhovych - Città del Vaticano
“È il quarto anno di guerra e l’intensità dei bombardamenti, che si verificano non solo a Kharkiv ma in tutta l’Ucraina, sta aumentando. Volano missili balistici e centinaia di droni trasportano cariche esplosive”, racconta ai media vaticani il vescovo di Kharkiv Zaporizhzhia dei Latini monsignor Pavlo Honcharuk, che ha partecipato all’udienza generale di mercoledì 18 giugno a margine della quale, nei suoi appelli, Leone XIV ha menzionato la sofferenza dell’Ucraina.
La benedizione del Papa
Poco dopo, il vescovo ucraino ha avuto l’opportunità di parlare brevemente con il Pontefice durante il baciamano. “Ho percepito il senso di pace e tranquillità che c’è qui, in questo luogo – spiega commentando il breve incontro con Leone XIV – Quando il Papa è arrivato, la sua stessa persona, il suo volto trasmettevano pace e tranquillità. Questa è stata la prima impressione. L’ho salutato e gli ho chiesto una benedizione per me, per i sacerdoti, per le suore, per la diocesi e per tutto il popolo ucraino. Lui mi ha risposto: ‘Vi benedico’. È stato breve, ma ha lasciato un segno molto positivo nel mio cuore”.
L’angoscia dei bombardamenti sui civili
La pace e tranquillità percepiti in piazza San Pietro sono in grande contrasto con la realtà dalla quale il giovane vescovo, 47 anni, si è allontanato per alcuni giorni per venire in Italia. “L’esercito russo - racconta - sta bombardando le case dei civili che non si aspettano una minaccia così grande e non hanno sempre il tempo di correre nei rifugi antiaerei. È molto pericoloso nelle zone del fronte a causa delle bombe aereo-guidate, che arrivano anche molto in profondità. Il cratere che si crea sul luogo colpito da una bomba del genere raggiunge gli otto metri di profondità e i trenta metri di diametro. Cioè, se si tratta di una casa, non rimane nulla né dell’abitazione, né di chi si trovava al suo interno”.
La vita e la morte camminano fianco a fianco
La situazione descritta dal presule che vive a Kharkiv, a trenta chilometri dal confine con la Federazione Russa, è drammatica: “Vengono bombardati parchi giochi dove si trovano i bambini, aziende, fattorie... Sta avvenendo una distruzione totale di tutto ciò che si muove, di tutto ciò che la gente ha costruito. Interi villaggi e città sono stati distrutti. Anche la nostra Kharkiv è molto danneggiata, sebbene le autorità locali stiano facendo tutto il possibile per ripulirla dopo i bombardamenti. Dopo ogni esplosione diverse centinaia di case rimangono senza finestre. Se questo avviene nella stagione fredda, la casa diventa inabitabile. Ci sono molti sfollati, persone che hanno perso tutto.
Un fiume di sofferenza
Questo fiume di sofferenza, il fiume di terribili storie umane, non si ferma, anzi si espande, prosegue monsignor Honcharuk. "Crescono anche i cimiteri, con sempre più bandiere ucraine che indicano le tombe dei soldati caduti. C’è un grande dolore, una grande sofferenza, che sembra non avere fine. Siamo in una situazione in cui la vita e la morte camminano fianco a fianco, dove c’è un’esplosione in una strada e i bambini camminano nell’altra. Questa è la nostra realtà”.
Parlando degli abitanti che nonostante tutto rimangono a Kharkiv, monsignor Honcharuk riporta i dati presentati dal sindaco della città circa un mese e mezzo fa: dei due milioni e settecentomila abitanti prima della guerra su larga scala, ne sono rimasti circa cinquecentomila, ai quali però si sono aggiunti altrettanti sfollati da diverse città e paesini della regione.
Rimanere accanto alla gente
Sin dall’inizio dell’invasione russa, il vescovo romano-cattolico di Kharkiv-Zaporizhzhia è stato sempre accanto alla gente. Anche i sacerdoti della sua diocesi continuano, come sempre, il loro servizio, nonostante il numero delle parrocchie sia diminuito. “Sono state distrutte insieme a intere città. Ad esempio – spiega – Pokrovsk, dove c’era una parrocchia, oggi è ancora sotto il controllo degli ucraini, ma è praticamente scomparsa. Non c’è più la parrocchia, la cappella è distrutta, non ci sono parrocchiani e il sacerdote ha dovuto andarsene perché i droni in fibra ottica, molto pericolosi, la sorvolano continuamente. Ma in generale i sacerdoti restano sul posto, sostengono la gente, celebrano le Messe, guidano le preghiere, confessano, parlano con le persone e visitano i malati”.
L’umanità ferita dei militari
Il presule nota che i militari vengono spesso a parlare con i sacerdoti perché, oltre alla fatica fisica e al dolore per la perdita dei loro commilitoni, portano un altro pesante fardello: un’umanità ferita, un’anima ferita perché sono stati costretti a prendere le armi. “I militari ucraini difendono la loro patria e per amore delle loro famiglie e del loro Paese sono costretti a fare ciò che non vorrebbero mai fare: togliere la vita agli altri, – osserva –. Come quando qualcuno vede una pentola d’acqua bollente cadere su qualcuno e la afferra. L’altra persona non si brucia, ma chi l’ha presa al posto suo ha le mani ustionate. Così i nostri soldati hanno l’umanità ustionata. Vеngono da noi con queste ferite spirituali per parlare e ricevere supporto”.
Aiuti umanitari a rischio
Il vescovo di Kharkiv-Zaporizhzhia osserva anche che c’è sempre bisogno di aiuti umanitari che sono molto diminuiti: “Ora ce ne sono meno, – dice, – ma è anche molto pericoloso tenerli nei magazzini, perché se l’esercito russo scopre dove si trovano, attacca per distruggerli. Fanno di tutto per rendere la vita impossibile, per portare la gente alla disperazione. In mezzo a tutto questo, la Chiesa è presente: ci sono sacerdoti e suore, intorno a loro si uniscono diversi gruppi di volontari. Abbiamo delle organizzazioni più grandi, come per esempio la Caritas, ma anche associazioni più piccole presso le parrocchie che sono molto efficaci. La Chiesa vive. Vive perché le persone sono la Chiesa, non soltanto i sacerdoti. La Chiesa siamo tutti noi, i battezzati, e in Ucraina oggi la Chiesa è in difesa del popolo. La Chiesa è nei nostri militari, nei nostri volontari, nei medici, nei sanitari. La Chiesa è presente nelle parrocchie e nelle strade”.
Sostenere chi sostiene
Ogni vescovo ha il compito di prendersi cura del clero. Nonostante le difficili circostanze, questa rimane una priorità per il vescovo Honcharuk. “I sacerdoti – sottolinea il presule – sono i miei più stretti collaboratori. Un sacerdote conosce le persone, le sostiene, piange con loro, condivide il loro dolore. Riceve colpi forti e non sempre ha qualcuno con cui condividerli. Il mio compito è sostenere i sacerdoti. Cerco di essere loro vicino, vado a trovarli per parlare e pregare insieme. Inoltre, conduciamo diversi corsi di formazione che li aiutano a capire cosa succede a una persona, al suo corpo e alla sua psiche in una situazione di guerra. Quando un sacerdote è consapevole di ciò che gli sta accadendo e di ciò che sta succedendo alle persone, allora ha le risorse per resistere. Niente distrugge una persona come fuggire da un problema e non capirlo”.
Il prezzo della vita e della libertà
Prima di diventare vescovo, monsignor Honcharuk è stato cappellano militare, è abituato a parlare con i soldati e quando lo fa, ringrazia Dio per loro. “Vedo i loro volti stanchissimi, mi dicono di tante difficolta, però in un istante – ed è quello che mi affascina – qualcosa cambia completamente e dicono: ‘Ma chi se non io?’. Queste parole contengono tutto, anche la consapevolezza che si può perdere la vita, come molti dei commilitoni caduti. Per esempio, io non domando mai: ‘Dov’è il tuo compagno?’. Perché può darsi che non ci sia più. Loro mi chiedono solo di pregare e lo faccio. Non chiedo nemmeno se è per i vivi o per i morti, perché fa molto male. È una ferita profonda.
Tracce dell'amore di Dio
I nostri soldati sono persone forti, perché il sacrificio per gli altri li rende tali. Sacrificano anche una parte della loro tranquillità dell’animo: Dio non ha creato l’uomo per uccidere, e quando una persona uccide un altro essere umano, questo lascia un’impronta. È il prezzo della nostra vita e della nostra libertà. Per questo apprezziamo i nostri militari, preghiamo per loro, per i prigionieri e per coloro che hanno perso i loro cari: molte famiglie, molti bambini, molti orfani. Recentemente ho visto alcuni video che si stanno diffondendo nel nostro Paese: alla festa di maturità, molte ragazze ballano il valzer con la divisa del padre, morto al fronte. È molto toccante, racconta un grande dolore. Ma in tutto questo vediamo anche tracce dell’amore di Dio, della sua presenza e della sua bontà, e andiamo avanti”.
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