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Un momento della conferenza stampa in vista di canonizzazione di Giovanni Battista Scalabrini Un momento della conferenza stampa in vista di canonizzazione di Giovanni Battista Scalabrini 

Tante e vive le testimonianze del carisma scalabriniano

In vista della canonizzazione di Giovanni Battista Scalabrini il 9 ottobre a Piazza San Pietro, da tutto il mondo emergono storie di straordinario impegno nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti. I frutti dell’esempio del vescovo fondatore delle congregazioni di san Carlo Borromeo emerge nelle parole della Superiora, Suor Neusa de Fatima Mariano, e nei racconti di suor Lina Guzzo

Fausta Speranza - Città del Vaticano

Attualità ed essenzialità del carisma delle Congregazioni dei Missionari di San Carlo Borromeo e delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo Scalabriniane sono emerse questa mattina nella conferenza stampa tenutasi all’Istituto Maria Bambina di Roma. Tra i partecipanti, il postulatore padre Graziano Battistella ha chiarito che il miracolo riconosciuto a Scalabrini riguarda la guarigione di una suora che soffriva di cancro. Il Papa – ha ricordato - è stato d’accordo nel riconoscere la santità anche in presenza di un solo miracolo, indicando la via della dispensa per il secondo miracolo di solito previsto e consultando tutti i cardinali. È poi intervenuto monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore generale della Fondazione Migrantes. Accanto a padre Leonir Chiarello, superiore generale dei Missionari di San Carlo Borromeo Scalabriniani, ha spiegato come la presenza degli scalabriniani sia focalizzata in particolare sulla seconda fase di accoglienza: dopo l’emergenza dell’arrivo, è importante un impegno di più ampio respiro. La missionaria Giulia Civitelli ha ricordato l’esperienza dei missionari secolari.

Ascolta l'intervista al superiore padre Leonir Chiarello

Un carisma più attuale che mai

Giovanni Battista Scalabrini, vescovo fondatore delle congregazioni dei missionari e delle suore di san Carlo Borromeo, è stato proclamato beato da papa Giovanni Paolo II il 9 novembre 1997 e domenica 9 ottobre prossima sarà canonizzato con una cerimonia a San Pietro. Profondamente colpito dal dramma di tanti italiani costretti ad emigrare negli Stati Uniti e nell’America del Sud alla fine dell’‘800, non resta indifferente: sensibilizza la società e manda i suoi missionari e le sue missionarie per aiutare e sostenere gli emigranti nei porti, sulle navi e all’arrivo nei nuovi Paesi. La sua canonizzazione  aiuta a comprendere come la comunità cristiana debba ancora oggi essere impegnata nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti in vista di una società più fraterna.

Un faro per chi guarda all’umanità sofferente

È considerato dunque un padre per tutti i migranti e i rifugiati. Così lo ricorda suor Neusa de Fatima Mariano, superiora della Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo - Scalabriniane: "Ad oltre un secolo dalla morte di Giovanni Battista Scalabrini – sottolinea  suor Neusa - la sua vita è ancora un faro per chi nel mondo è al servizio dell’umanità più sofferente: quella migrante. Dopo aver fondato nel 1887 i Missionari di San Carlo Borromeo – spiega -  il Vescovo di Piacenza sapeva che la loro opera era incompleta, specialmente nel Sud America, senza l’aiuto delle Suore”. Sostenuto dalla Beata Assunta Marchetti e dal Servo di Dio padre Giuseppe Marchetti, nel 1895 dà vita alla Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo, riconoscendo il grande valore che le donne consacrate potevano portare al suo progetto missionario nel mondo.

Il volto femminile della missione

Siamo l’espressione del volto femminile del carisma scalabriniano rivolto ai migranti, afferma suor Neusa. “Abbiamo una sensibilità particolare, sentiamo e capiamo tutti i disagi che una donna può vivere nel viaggio migratorio, viaggio che rende le donne e i bambini più fragili e vulnerabili”. "Sono nata in Brasile – racconta - e ho lavorato per molti anni con i bambini e i ragazzi, nella formazione cristiana; ero catechista nella mia parrocchia e appartenevo ai gruppi giovanili, ma c’era nel mio cuore il desiderio di fare qualcosa di più grande e di consegnare tutta la mia vita al servizio di Dio. Ho fatto delle ricerche sulle congregazioni presenti nella zona di San Paolo e mi hanno colpito molto le suore scalabriniane. Le ho incontrate ed erano veramente felici e accoglienti. Ho sentito che quello era il luogo dove il Signore mi chiamava. In seguito, ho conosciuto la spiritualità di Scalabrini, la sua capacità di vedere nei migranti il Signore e di lavorare per il loro bene. Sono diventata così una suora scalabriniana a 21 anni. Una delle mie prime missioni è stata nelle periferie di San Paolo, nelle favelas. Incontravamo i migranti e mi sorprendeva la loro speranza, il loro coraggio e la fiducia che avevano nel Signore, in vista di una vita migliore. Aprivano le loro case e nella semplicità offrivano quello che avevano, nonostante la loro situazione di povertà. Ci raccontavano – prosegue suor Neusa - la loro storia, le sofferenze vissute nel percorso della migrazione. Nel mio essere suora scalabriniana è sempre stato importante fare il primo passo verso l’altro, ascoltarlo, entrare in comunione profonda con la loro realtà; gioivo quando vedevo che le persone uscivano dal loro isolamento, dalla loro tristezza". 

Un impegno mondiale

"Siamo presenti in 27 Paesi con oltre 100 missioni animate dalla spiritualità di Scalabrini",  ricorda la Superiora sottolineando: “In ogni persona vediamo un figlio di Dio e cerchiamo di vivere il mistero dell’Incarnazione nelle varie realtà della migrazione. La nostra scelta è quella di rivolgerci in modo particolare alle donne e ai bambini rifugiati, essere migranti con i migranti, compagne nel loro cammino”.

Una casa di accoglienza a Roma

Si chiama Chaire Gynai, che in greco significa ‘Benvenuta, donna’, la casa aperta a Roma. La Superiora suor Neusa racconta che nell’abbraccio di una mamma che la ringraziava ha sentito lo scopo della missione: “offriamo loro la possibilità di una vita che riconosca la loro dignità e apra strade verso nuove opportunità”. Il carisma scalabriniano nel mondo è testimoniato attraverso le azioni socio- pastorali, si manifesta nella solidarietà con chi vive il dramma della migrazione, tutto mira a creare comunione, essere sorelle con, per e tra i migranti e i rifugiati. In questi ultimi anni è nato il progetto specifico del ‘Servizio Itinerante’, presente nei luoghi di frontiera, dove c’è più sofferenza: a Roraima in Brasile, nel confine settentrionale e meridionale del Messico, a Ventimiglia in Italia e a Pemba in Mozambico".

Saper ascoltare e cambiare

"La migrazione arriva – mette in luce suor Neusa - e porta con sé dei cambiamenti strutturali: accogliere i migranti è avere questa capacità di ascolto. Aprirsi all’altro implica di condividere il nostro spazio, le nostre città, ma anche saper valorizzare la bellezza che ognuno porta in sé. Entrare in relazione con i migranti significa anche sapersi commuovere davanti al dolore, così come ha fatto Scalabrini vedendo gli emigranti italiani partire verso l’America. Noi donne – aggiunge - siamo molto più sensibili alla sofferenza degli altri. A partire dal nostro modo di essere donna, cerchiamo di far rifiorire la creatività scalabriniana con i migranti e i rifugiati che non trovano risposte alle loro problematiche, alle loro ferite e cerchiamo di accompagnarli nel loro cammino come fa Gesù, il buon samaritano. Il dolore dei migranti diventa anche il nostro dolore, così pure anche la loro speranza è la nostra speranza. Questo ci ha insegnato Scalabrini".

Il valore della canonizzazione

"Scalabrini era innamorato del mistero dell’Incarnazione di Dio – chiarisce suor Neusa – e contemplava continuamente il Figlio di Dio che si fa uomo per rivelare l’amore del Padre e per riconsegnare a Lui l’umanità rinnovata. Era un uomo tutto di Dio e per Dio. Ha fatto tesoro della cultura dei migranti, della ricchezza che portavano con sé, al punto di dire: 'Nel migrante io vedo il Signore'. Abbiamo ricevuto questa eredità, un carisma per il tempo di oggi. Quando leggiamo i suoi scritti, ci accorgiamo che sono ancora attuali. Era anche un uomo d’azione: ha saputo coinvolgere la Chiesa, lo Stato, i laici, i missionari, noi suore scalabriniane affinché tutti potessero fare la loro parte. È bello che la sua canonizzazione arrivi in questo tempo forte di migrazioni. È un segno importante che il Papa vuole dare a tutta la Chiesa e a tutta l’umanità, una chiesa che accoglie e cammina con i migranti e i rifugiati".

Suor Lina Guzzo,  missionaria scalabriniana di 57 anni, oggi vive a Messina aiutando la comunità dello Sri Lanka e delle Filippine ad integrarsi, Il suo racconto comincia ribadendo che “ogni migrante è figlio di Dio”: “È il 2016 – riferisce suor Lina - quando due fratelli, Ahmed e Fadil (nomi di fantasia), arrivano al porto di Reggio Calabria, dopo essere stati soccorsi in mare dalla Guardia Costiera. Fadil ha solo 15 anni, è stato picchiato, ha ferite e lividi in tutto il corpo e deve essere portato in ospedale, ma lui non vuole. Sa che se lascia ora suo fratello maggiore, verrà trasferito chissà dove e non lo rivedrà più. È in questo momento di disperazione che Fadil incontra suor Lina Guzzo, missionaria scalabriniana. “Non ti preoccupare, vengo in ospedale con te”, dice suor Lina. Per tutta la notte, Fadil piange disperato, mentre suor Lina chiama ripetutamente la Guardia Costiera per essere sicura che Ahmed non venga trasferito in qualche struttura. “Le mie braccia erano segnate dalle sue unghie, mi stringeva e mi ripeteva di non allontanarmi”, ricorda suor Lina.   Al mattino Fadil viene dimesso e suor Lina lo accompagna al porto. Ahmed non si è mosso da lì per tutta la notte. I due fratelli si abbracciano, si baciano, piangono di gioia. “Tutti avrebbero dovuto essere testimoni di quel momento, anche qualche politico. Questi ragazzi avevano affrontato l’abbandono della loro famiglia, il viaggio lungo il deserto, il carcere in Libia, la violenza, la morte in mare dei loro compagni e poi, una volta che sembrava che ce l’avessero fatta, la paura di non rivedersi più. In quell’abbraccio c’era tutta l’umanità, c’era tutta la speranza di una nuova vita. A volte basterebbe avere il rispetto del dolore altrui. Sotto quella pelle di altro colore, c’è il grande dono di una vita ricevuta, ci sono dei figli di Dio”, racconta suor Lina, che da missionaria ha trascorso 57 anni a fianco di chi emigra: dagli italiani in Svizzera, ai profughi del Kosovo in Albania e ai migranti africani in Portogallo e in Italia”. 

Senza nessuna barriera

“Non importa se sono cattolici o musulmani o indù – ribadisce suor Lina - hanno una fede, credono in qualcuno al di sopra di loro che è presente nella loro vita. Noi abbiamo ricevuto dal vescovo e santo Giovanni Battista Scalabrini il carisma di servire i migranti, dobbiamo conoscere l’umanità per poterla accompagnare e conoscere noi stesse per essere davvero missionarie con queste persone”.

L’esperienza in Calabria

Per anni suor Lina è stata “l’animatrice del porto di Reggio Calabria”. Così la chiamavano i volontari che insieme a lei e alle altre sorelle accoglievano i migranti. Di questa esperienza racconta: “Sbarcavano anche 900 persone in un giorno, molti erano minori non accompagnati. La sera prima ci avvisavano del loro arrivo e noi ci facevamo trovare all’alba cariche di ciabatte, vestiti, brioches, succhi di frutta. Davamo loro la mano e chiedevamo della loro famiglia. Con i gesti ci si capiva e provavamo a togliere loro di dosso la paura. Spesso non sapevano neanche dove si trovavano. Trascorrevo il giorno e la notte con loro nelle tende o in ospedale”. Suor Lina ricorda un giorno in cui passava tra i ragazzi appena sbarcati distribuendo dei viveri. “Uno di loro mi guardava con gli occhi sbarrati e ripeteva: “Ho fame”. Erano assetati e affamati, ma io avevo appena terminato le brioches. Ero molto dispiaciuta e un suo compagno di viaggio allora mi disse in portoghese: “Mamma, non ti preoccupare perché da oggi noi mangiamo la libertà”. Questa frase è rimasta come pietra scolpita nel mio cuore e mi ha fatto capire quanto è importante per loro arrivare qui, in Paesi democratici, e costruire una vita dignitosa”.

La guerra in Kosovo

Gli anni più difficili sono stati quelli della guerra in Kosovo. Le suore missionarie scalabriniane hanno accolto i profughi nella loro casa in Albania, a Scutari: “Ospitavamo 50 persone, 36 erano minori. Ho dovuto riconoscere persone uccise con la testa piena di pallottole. Ho assistito alla morte di donna, madre di un bambino piccolo, a cui hanno sparato alla schiena. Quando è arrivato il marito, ho pensato: “Adesso cosa faccio, mio Dio?”. Ma dopo lo sconforto  e anche la paura – assicura suor Lina - arriva la fede, la consapevolezza che non finisce tutto così: “C’è un Dio che ti dà la forza di andare avanti nella tua vocazione”.

Un pensiero personale: “Sono vicepostulatrice della canonizzazione e sono riconoscente a Papa Francesco che ha scelto di dare alla Chiesa un modello come Scalabrini. È un regalo grande che Dio fa ai migranti, agli scartati, ai rifiutati dal mondo che hanno bisogno di essere accolti e di ricevere il confronto della fede”.

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06 ottobre 2022, 11:13