Cerca

Dopo cinque mesi, l'arrivo dei primi aiuti della Croce Rossa, il 26 gennaio, a Merkelle nel Tigray Dopo cinque mesi, l'arrivo dei primi aiuti della Croce Rossa, il 26 gennaio, a Merkelle nel Tigray 

Conflitto nel Tigray. La diocesi di Adigrat chiede aiuto attraverso corridoi umanitari

Sospeso dal 14 dicembre il trasporto degli aiuti umanitari, a causa dei combattimenti in corso nella regione del Tigray. La diocesi di Adigrat chiede aiuto e la creazione di corridoi umanitari per aiutare il popolo, affamato, sfollato e senza medicinali, nel nord dell'Etiopia

Anna Poce- Città del Vaticano 

In una lettera datata 17 gennaio e indirizzata a partner e donatori, la Commissione diocesana sociale e dello sviluppo di Adigrat ha lanciato un disperato appello, in seguito al blocco degli aiuti umanitari - cui si aggiunge il blocco dei servizi, dei trasporti, dell’energia elettrica e della comunicazione - che ha portato carestia, malnutrizione, morte per malattia di bambini, anziani e malati cronici nella regione del Tigray. La guerra ha privato il popolo dei diritti fondamentali dell’uomo, ha sottolineato la diocesi, invocando sostegno, dialogo e la creazione di corridoi umanitari che allevino le sofferenze della popolazione.

Secondo il rapporto del World Food Programme delle Nazioni Unite, nove milioni di persone, dopo 15 mesi di conflitto, che ha impedito la circolazione della quasi totalità degli aiuti umanitari e del materiale salva vita, hanno bisogno di assistenza alimentare umanitaria nelle tre regioni del nord – Tigray, Amhara e Afar - interessate dai combattimenti. L’ufficio sanitario della regione autonoma settentrionale etiope afferma, infatti, che almeno 5.000 persone sono morte per malnutrizione e mancanza di cure da luglio a ottobre 2021, compresi più di 350 bambini. Quasi il 40% dei tigrini, secondo il WFP, soffre di “estrema mancanza di cibo” e l’83% ha problemi di sicurezza alimentare.

Testimonianze drammatiche dalle zone di conflitto

Secondo quanto riportato all’Agenzia Fides da testimoni oculari inoltre “da quando è iniziato il conflitto nella regione etiope del Tigray non si sa più nulla di alcune parrocchie dell’Eparchia di Adigrat. Si sa che soldati stranieri ne hanno attaccate parecchie”. La fonte anonima invita la gente ad ascoltare il pianto della popolazione colpita. “Il vescovo dell’eparchia di Adigrat – afferma - sta piangendo, le persone sono traumatizzate. Lasciate che abbiano cibo. Non armi. Perché il mondo rimane così tranquillo? Perché in questo mondo di grande abbondanza le persone stanno morendo di fame? Il cibo c’è ma è bloccato. Per quale motivo? Tutti devono sapere che il Tigray è sotto shock, che i bambini stanno morendo e il mondo sta a guardare”. Continua parlando di una regione letteralmente distrutta nelle sue infrastrutture, scuole, chiese, monasteri, moschee, cimiteri e parte del patrimonio culturale. Secondo quanto riferito, “al momento il 90% delle strutture sanitarie sono andate distrutte. Dall’inizio del conflitto nessuno percepisce più uno stipendio in Tigray. Tutti quelli che lavoravano per il governo non hanno più un salario”. Nei villaggi – viene spiegato - si può raccogliere legna e acqua, ma nelle città “bisogna comprare tutto, pagare l’affitto, sfamare la propria famiglia. Come si fa dopo 1 anno e mezzo senza reddito? Gli aiuti umanitari sarebbero pronti ma il conflitto in corso non lo consente. Hanno gettato la gente nel panico.” Tutti sono convinti, dunque, che la cosa più importante sarebbe ora “l’apertura di corridoi umanitari per aiutare la popolazione civile”, perché “il blocco totale sta uccidendo tantissima gente innocente. Si parla di migliaia di bambini, in particolare, morti di malnutrizione”.

La testimonianza continua, sottolineando che “ad un certo punto questa guerra dovrà finire e la cosa più difficile sarà la ripresa dell’essere umano, di migliaia di giovani senza futuro. L’impatto di questa guerra è troppo grande e il problema resterà negli anni. Secondo gli esperti ne risentiranno per 2 o 3 generazioni perché sono traumi troppo profondi. Per far tornare la società alla normalità è urgente e necessario agire a partire già da adesso, non aspettare e trovarsi pronti una volta che la guerra sarà finita – conclude -. Occorre fare un piano strategico per assistere la società traumatizzata. È necessario ma, allo stesso tempo, servono interventi salvavita nell’immediato”.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

03 febbraio 2022, 11:55