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Ad Atene una casa famiglia, piccolo granello di senape

Nella capitale greca, il racconto della fruttuosa presenza di una famiglia italiana della Comunità Papa Giovanni XXIII che vive l’esperienza della fraternità, dell’accoglienza, del dialogo. Nella loro casa le storie di dolore di tanti migranti che si trasformano in storie di riscatto

Massimiliano Menichetti – Atene, Grecia

“Casa Famiglia Divina Provvidenza” è un nome che dice molto. Le braccia della Provvidenza per chi arriva in questa dimora al centro di Atene, aperta dalla Comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini, sono quelle di Fabiola Bianchi e Filippo Bianchini che qui si trovano dal 2014. Una coppia con tre figli naturali che si è aperta all’accoglienza e che oggi era presente all’incontro del Papa con vescovi, religiosi, sacerdoti e catechisti nella cattedrale cattolica di San Dionigi.

“Il dono di essere qui”

Fabiola Bianchi racconta l’esperienza che sta vivendo ad Atene, l’emozione di aver ascoltato il Papa ma per ben due volte parla di un ragazzino del Camerun, ferito nell’anima e che spera possa andare a vivere nella loro casa. Lo ha incontrato, ci ha parlato ma lui non si fida, vive ancora l’abbandono della mamma. Un’esperienza che marchia a fuoco e condiziona il futuro.

Le parole del Papa di questa sera nelle quali ha ribadito la necessità di togliere i trionfalismi ma dare nel piccolo, che cosa ti hanno suggerito? Che cosa hai pensato?

Ci ha detto benedite la piccolezza, io penso che non ci possa essere un messaggio più bello, veramente è stato un grande incoraggiamento alla piccola comunità cattolica di qui ma anche ad ognuno di noi a portare il meglio ovunque si viva. Noi siamo una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII, ad Atene, e anche noi siamo piccoli perché siamo solo io e mio marito però abbiamo una grande famiglia intorno, tante persone che vivono con noi. Il Papa ci ha invitato al nascondimento, al piccolo granello di senape che cresce nel silenzio, io penso che sia un messaggio molto bello, spero che un giorno i nostri figli, i ragazzi che crescono con noi, che vivono con noi, sappiano portare fuori nel mondo quello che magari respirano in casa. Il Papa ci ha invitato anche, lo ha detto più di una volta, all’accoglienza, alla fraternità e alla fiducia in Dio. Una fiducia che testimoniamo con la nostra presenza perché noi siamo arrivati qui in Grecia, ed era un posto dove non volevamo andare perché pensavamo ad una missione nel sud del mondo, ma ci siamo fidati e ci siamo fidati nella preghiera, ci siamo fidati del Signore, ci siamo fidati della nostra comunità che ci ha inviato qui. Ringraziamo veramente ogni giorno del dono di essere qui soprattutto in questi giorni della visita del Santo Padre.

 

Il Papa da Cipro arriva in Grecia di fatto portando due direttrici: una quella dell’ecumenismo e quindi di una Chiesa unita; l'altra l'attenzione ai migranti. In questo periodo molti migranti risiedono nelle periferie di Atene e domani Francesco andrà a Lesbo. Voi siete una realtà di accoglienza in Atene, che cosa significa per te essere accoglienza concreta?

E’ una bella sfida perché ogni giorno abbiamo persone che bussano alla nostra porta, che trovano il nostro contatto e spesso non capiamo neanche come ci trovino. Ci telefonano, un ragazzino ci ha mandato la foto scrivendo “questo sono io, solo in strada, prendete me sono solo”.  Proprio ieri è venuto un altro ragazzino da noi che ci ha trovato, da solo. Lui ha 15 anni, è del Camerun, è senza i genitori e abbiamo provato a dirgli di stare con noi, è venuto nel pomeriggio, lo abbiamo incontrato e abbiamo proposto di venire a vivere con noi. Ha paura, non si fida perché è stato abbandonato dalla madre, non riesce a fidarsi di nessuno. Noi ogni giorno viviamo la sfida di vivere l'accoglienza anche come un donare fiducia. Quello che noi cerchiamo di fare è proprio di creare un ambiente dove le persone si sentano al sicuro, accolte, protette e non sempre è facile.

Che cosa porta secondo te la presenza di Papa Francesco ad Atene in Grecia, anche all'Europa, guardando l'umanità.

Io credo che il suo sia un fortissimo invito all'accoglienza, all'apertura, è un appello che noi non possiamo non ascoltare, lui ci invita proprio ad essere ponte, ad abbattere i muri e a tagliare i fili spinati. Noi dobbiamo essere un'umanità che cresce senza barriere dove ognuno veramente è ricchezza per l'altro, dobbiamo dare la possibilità a tutti, al di là della provenienza, di portare quella ricchezza di cui loro possono essere portatori se noi glielo permettiamo, perché ognuno è un dono, ognuno ha un potenziale immenso ma spesso purtroppo non ha la possibilità di dimostrarlo.

Diamo il volto alle persone che sono nella vostra casa famiglia, come si chiamano? Da dove vengono? Quali sono le difficoltà e le bellezze…

Siamo tanti, abbiamo una mamma dall'Eritrea con due bambini piccoli, un ragazzino minore afgano, abbiamo un altro ragazzino del Camerun e speriamo che l'altro ragazzino che abbiamo incontrato ieri venga a vivere con noi anche lui. Abbiamo tre figli naturali e una mamma eritrea con altri due bambini piccoli e anche una famiglia afghana. Con noi ci sono anche quattro volontari e ringraziamo il cielo perché abbiamo tanti giovani che vengono a trascorrere un periodo nella nostra casa, che si avvicinano alla nostra comunità, al nostro carisma che è quello della condivisione diretta, dell'accoglienza e quindi ci aiutano, sono veramente un grande dono. La bellezza secondo me è proprio questo vivere tutti insieme dove, ed è una cosa particolare che ci fanno notare i volontari quando arrivano e che noi non notiamo più, si parlano tre lingue. Ma anche a tavola, mentre siamo tutti a mangiare insieme, si passa dall'italiano al greco, all'inglese che è la lingua comune con naturalezza. Noi non ci facciamo più caso però penso sia una ricchezza veramente grande soprattutto per i nostri figli.

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04 dicembre 2021, 20:52