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Il Natale a Castel Volturno tra pandemia e speranza Il Natale a Castel Volturno tra pandemia e speranza

Natale a Castel Volturno, tra pandemia, povertà e tanta speranza

Le celebrazioni nella Terra dei Fuochi, afflitta da sfruttamento e degrado, ma alla ricerca della gioia e del riscatto che la venuta di Gesù porta con sé

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

A Castel Volturno, la pandemia è solo uno dei tanti  flagelli che colpiscono la popolazione. A Castel Volturno, la metà degli abitanti è composta da migranti, ma è la popolazione intera ad essere afflitta da un degrado totale, ecologico - siamo nella cosiddetta Terra dei Fuochi - sociale e umano. Ed è a Castel Volturno che si concretizza il rischio di vedere perso il senso di umanità, di accoglienza e di dignità. A ricordarlo, in occasione del Natale 2020, sono i missionari comboniani, da 25 anni nella zona al servizio dei migranti, cercando di essere ponte tra loro e gli italiani. Sono loro i testimoni diretti della difficile situazione che si vive in quella parte d’Italia, vergognosamente segnata da “gesti di razzismo, di sopruso, di sfruttamento lavorativo e sessuale, abitativo e piscologico”.

Il Covid-19 non fermerà la fiducia ed il sogno

In questo tempo di Natale, i missionari ci ricordano ciò che il Papa scrisse nel suo messaggio in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2020 e cioè che bisogna conoscere per comprendere e che i migranti non sono numeri, ma persone. “Quest’anno – spiega a Vatican News il comboniano padre Daniele Moschetti, che a Castel Volturno si occupa della parrocchia di Santa Maria dell’Aiuto – si  sarà costretti a vivere l’aspetto liturgico del Natale in modo ridotto, ma si dovrà comunque trasformare la tristezza di questa situazione sociale, in una gioia che viene da un Gesù Cristo che comunque ti porta la forza di sperare e di sognare”.

Ascolta l'intervista a padre Daniele Moschetti

Meno lavoro per i migranti sempre più sfruttati

La situazione nella zona di Castel Volturno peggiora di giorno in giorno, il lavoro già scarso, è ormai inesistente, duramente colpito dalla seconda ondata della  pandemia. “Se prima un immigrato aveva un lavoro magari per 30 euro due volte alla settimana – prosegue Moschetti – ora se riesce a trovarlo una volta a settimana è già tanto e, naturalmente, a molto meno, tra i 15 e i 20 euro”.

La speranza dei padri negli occhi dei figli

Lo sfruttamento non conosce sosta a Castel Volturno e il Natale è un periodo sempre difficile. Per questo gli amici dei comboniani, così come altre associazioni, si faranno avanti in questi giorni con gesti di solidarietà ed amicizia, soprattutto nei confronti dei bambini. Anthony  Uche Oduah è un parrocchiano di Santa Maria dell’Aiuto, nigeriano, come molti  dei migranti che vivono a Castel Volturno e che sono soprattutto africani. “Questa pandemia – racconta anche lui a Vatican News – ha condizionato tutta la vita, sia l’aspetto spirituale che quello sociale, e tutte le nostre attività comunitarie, ma almeno cercheremo di portare un po’ di sorriso ai bambini". Anthony conferma tutti i mali di quel luogo, “dove non c’è niente, niente da dividere, ma che da anni sta morendo”  e poi, afflitto, conferma la sofferenza di dover subire il razzismo e lo sfruttamento, ma racconta anche della volontà di “guardare oltre l’indifferenza e la stupidità delle persone” perché ciò che lui, e tutti gli altri della sua comunità, fanno, e faranno, è educare i propri figli, perché saranno loro un giorno a dover dimostrare di essere “cinque volte più bravi per riuscire a mantenere un posto di lavoro che non c’è”.

Ascolta l'intervista a Anthony Uche Oduah

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23 dicembre 2020, 08:15