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Campi profughi nel Sudan Campi profughi nel Sudan  

Etiopia, plenaria dei vescovi: al centro la crisi nel Tigray

La guerra ancora irrisolta e la fuga di centinaia di migliaia di persone, nel pensiero e nell'azione congiunta della Chiesa di Etiopia riunita fino al 18 dicembre nella 50.ma assemblea plenaria sulla scia dei tanti appelli del Papa nel tempo

Lisa Zengarini - Città del Vaticano 

Si è parlato soprattutto dell’attuale crisi in Etiopia e del ruolo profetico che la Chiesa è chiamata a svolgere per aiutare le vittime del conflitto nella regione del Tigray durante la 50.ma assemblea plenaria della Conferenza episcopale etiopica (Cbce) che si è svolta dal 14 al 18 dicembre.

Al centro dei lavori, introdotti dal cardinale Berhaneyesus Souraphiel – riporta il blog dell’Amecea, l’Associazione delle Conferenze Episcopali dell’Africa Orientale - gli aiuti alla popolazione, prima vittima dei combattimenti formalmente conclusi il 28 novembre con la proclamazione della vittoria delle forze federali nella regione ribelle del Tigray. La situazione umanitaria resta drammatica. Il conflitto ha avuto conseguenze gravi per i civili, oltre 50mila dei quali si sono rifugiati nel vicino Sudan. Scarseggiano cibo e acqua e le comunicazioni sono interrotte. Le condizioni sono al limite anche per i 100mila eritrei fuggiti dal loro Paese e ospitati nei campi profughi presenti nella regione del Tigray.

La mobilitazione della Chiesa a sostegno della popolazizone

Di fronte a questa situazione la Cbce, in collaborazione con la Caritas locale, ha costituito una speciale task-force chiedendo il supporto della Caritas internationalis e della Cidse, l’organismo cattolico per Cooperazione internazionale per lo sviluppo e la solidarietà. I vescovi hanno chiesto a tutti i superiori maggiori etiopici di unire le loro forze aiutare popolazione. Durante la riunione i vescovi hanno anche rivolto il loro pensiero e preghiere al vescovo cattolico Tesfaselassie Medhin, rimasto isolato nella sua eparchia di Adigrat, insieme ai suoi sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli dall’inizio del conflitto. Il nunzio apostolico, monsignor Antoine Camiller, gli ha espresso solidarietà, assicurando le preghiere di Papa Francesco, del cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, e di tutta la Chiesa. L'unica, tenue e indiretta comunicazione recente attribuibile a monsignor Medhin è la lettera inviata il 23 novembre scorso ad alcuni collaboratori. Nella missiva, monsignor Medhin faceva riferimento alla difficile situazione umanitaria della regione, dove mancano medicinali, generi alimentari, carburante e ogni bene di prima necessità.

La storia del conflitto

Il conflitto nel Tigray è esploso il 4 novembre, quando il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha ordinato un'offensiva militare contro le autorità locali, in risposta ad un presunto attacco alla principale base militare etiope situata nella capitale del Tigray, Mekelle. Ma il conflitto affonda le sue radici nei mesi scorsi, da quando, a settembre, il partito al governo del Tigray (Tigray People's Liberation Front - Tplf) ha organizzato le elezioni nella regione, contro il parere del governo federale. Sin da subito, la Chiesa locale ha fatto sentire la sua voce in favore della pace: in una nota diffusa lo stesso 4 novembre, i vescovi cattolici in Etiopia hanno esortato le parti in causa "a risolvere le loro divergenze in modo amichevole, in uno spirito di rispetto, comprensione e fiducia".

Gli appelli del Papa e delle Chiese 

A loro si sono uniti in queste settimane gli appelli di Papa Francesco e anche quelli di altre Chiese nel Continente e nel mondo. L’ultimo, è quello lanciato poco più di una settimana fa dal Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam) che ha chiesto ancora una volta alle parti di deporre subito le armi. Nonostante la vittoria proclamata da Addis Abeba, il Tplf ha infatti dichiarato la volontà di proseguire la sua lotta contro i soldati federali presenti nella regione dove continuano a registrarsi combattimenti sporadici. A destare maggiore preoccupazione in questo momento resta comunque la situazione umanitaria.

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21 dicembre 2020, 07:54