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Morosini: il lockdown in Calabria e la malasanità

A Vatican News la riflessione dell’arcivescovo metropolita di Reggio Calabria-Bova dopo i disordini di ieri sera nel capoluogo calabrese scoppiati, alla vigilia del blocco delle attività per l’emergenza coronavirus. Per monsignor Morosini la gente non dovrebbe pagare colpe non sue

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Sono quattro le regioni dichiarate zone rosse in Italia a causa dell’emergenza coronavirus: Lombardia, Piemonte, Valle D’Aosta e Calabria. La scelta del governo ha provocato malumori e polemiche tra Roma e le regioni. Stamani il ministro della salute Roberto Speranza, nel suo intervento alla Camera, ha ricordato il pieno coinvolgimento delle istituzioni scientifiche così come delle regioni in tutte le fasi del lavoro anche nell’elaborazione dei criteri di monitoraggio sui 21 parametri scelti. Urgente piegare la curva del contagio – ha spiegato il ministro – perché altrimenti il personale sanitario non potrà reggere l’urto.

Una sanità al collasso

Una preoccupazione, quest’ultima, condivisa anche dall’arcivescovo metropolita di Reggio Calabria-Bova, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini. La situazione sanitaria in Calabria è da anni al collasso. Oltre ad aver decretato la zona rossa, non in virtù dell’incidenza del virus ma per il valore alto dell’Rt, l’indice di contagio dell’epidemia, il governo ha prorogato fino al 2023 il commissariamento della sanità. La popolazione lamenta anche l’assenza di provvedimenti come nuove assunzioni in sanità o l’aumento dei posti in terapia intensiva promessi in questi mesi di emergenza. Ieri sera a Reggio Calabria, una manifestazione iniziata con un presidio pacifico, è degenerata dopo alcune ore con il lancio di bombe carta e momenti di tensione con le forze dell’ordine, culminati con il ferimento di un carabiniere. Nel mirino dei manifestanti soprattutto la politica locale, rea di non aver usato in modo corretto i finanziamenti del passato. Intanto è stata autorizzata la spesa di 40 milioni di euro per fronteggiare l'emergenza e 60 milioni all'anno a partire dal 2021 per riportare la sanità calabrese agli standard delle prestazioni nazionali e soprattutto per garantire il fondamentale diritto alla salute.

Monsignor Morosini: “rispondere sempre con responsabilità”

In questa prima giornata di lockdown si segnalano negozi aperti a Reggio Calabria, contravvenendo così alle norme contenute nel Dpcm. L’appello di monsignor Morosini è alla responsabilità, “bisogna rispondere alle decisioni prese con obbedienza che è sempre un atto di civiltà e permette il giusto funzionamento delle cose”. Difendendo il diritto al dissenso, l’arcivescovo metropolita di Reggio Calabria-Bova sottolinea che “va manifestato in forme civili, democratiche e non violente”. “Condanno in modo forte – afferma - quello che è successo ieri contro il carabiniere ed esprimo la mia vicinanza all’Arma”. Il presule non nasconde però la necessità di fare una riflessione più ampia sui problemi che attanagliano la Calabria e che il Covid non ha fatto esplodere perché ci sono sempre stati. Riferendosi all’inadeguatezza delle strutture sanitarie si chiede da cosa possano dipendere. “Dai commercianti? dai cittadini che lavorano? dagli studenti?”: è la domanda dell’arcivescovo. “Le strutture inadeguate dipendono da chi le sovrintende, da maggio ad oggi cosa è stato fatto?”. “Noi abbiamo tanti ospedali vuoti: penso a Siderno, penso all’ospedale di Gerace che non è mai stato aperto”.

L’emigrazione sanitaria

“La rabbia dei cittadini, afferma monsignor Morosini, è comprensibile, la violenza non è giustificabile, le persone però si sentono umiliate, tradite e questo le autorità lo devono percepire”. Solo a Reggio Calabria si hanno solo 10 posti in terapia intensiva e 5 sono già occupati. E’ una situazione che va affrontata come “la piaga” di chi si cura fuori regione: un’emigrazione sanitaria che pesa complessivamente per oltre 300 milioni di euro sulle casse regionali. Altro tema scottante è la mancata assunzione di personale: “un problema – sottolinea l’arcivescovo – che dura da anni”. Non mancano professionisti in gamba ma non ci sono le strutture per supportarli. Altro capitolo drammatico è l’emergenza lavorativa, con i giovani che scappano non appena concludono gli studi, “una tragedia sociale”.

Guardare con speranza al futuro

Con il lockdown, si potrà andare a Messa solo con l’autorizzazione. “Sentiamo tra i fedeli che c’è la paura del contagio ma bisogna saper cogliere – spiega il presule - i lati positivi della quarantena, quello di ritrovarsi in famiglia, avere una maggiore possibilità di riflessione, di preghiera e dal punto di vista cristiano di considerare quali sono i veri valori che devono guidare la vita la nostra vita”. “Bisogna guardare con speranza al futuro perchè il Signore non ci abbandona anche se in questo momento siamo provati, ma sicuramente, come dice San Paolo, ‘tutto concorre al bene futuro’. Questo bene futuro è per noi un grande grido di speranza, un grande augurio di speranza”. 

Ascolta l'intervista a monsignor Giuseppe Fiorini Morosini

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06 novembre 2020, 14:53