Cerca

Il 28 novembre un convegno Cei sugli effetti del coronavirus sulla psiche Il 28 novembre un convegno Cei sugli effetti del coronavirus sulla psiche

Covid e disagio psichico, la Cei apre il dibattito

Salute mentale e pandemia. Se ne parlerà il 28 novembre prossimo, durante il quarto convegno promosso dalla Conferenza episcopale italiana dedicato agli effetti del Covid sulla psiche umana. Ne parliamo con lo psichiatra Cantelmi

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Si sta assistendo alla prima pandemia della storia moderna a narrazione globalizzata, ma con sviluppi che toccano non solo da vicino, ma ‘personalmente’. Di qui la necessità di analizzare gli effetti del Covid-19 sul benessere mentale e relazionale. Si farà, in modalità online, durante la quarta edizione del Convegno annuale promosso dall’Ufficio Nazionale Cei per la pastorale della salute, e dal Tavolo nazionale sulla salute mentale, in collaborazione con l’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici e con l’Associazione “In punta di piedi”.

La pandemia e i rischi per la salute mentale

“Il fenomeno Covid-19, nella sua potenza pandemica, genererà molti problemi psicologici alle persone, ed esistono già relazioni in questo senso”, a spiegarlo a Vatican News è Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici. “Ci sono studi fatti tra febbraio e marzo di quest’anno su popolazioni cinesi, e poi altri studi in Europa e in America, e tutti dicono che la pandemia è un fenomeno traumatico, che incrementa in modo significativo il rischio per la salute mentale della popolazione di manifestare patologie”. Il trauma può essere espresso immediatamente attraverso un disagio, ma può anche essere insidioso e mostrare “la sua forza psicopatologica dopo alcuni anni, per esempio dopo tre o quattro anni, ci si è quindi interrogati su cosa stia avvenendo nella psiche delle persone”.

Ascolta l'intervista con Tonino Cantelmi

Le categorie in pericolo

Tra i gruppi con la salute mentale maggiormente a rischio, Cantelmi cita gli operatori sanitari: uno su due, nell’immediato o nei prossimi anni, presenterà forme di disagio emotivo, perché in prima linea nella lotta alla morte, ma anche per la frustrazione di subire lo stigma dell’untore, perché a contatto con il virus, e quindi per il dolore di dover vivere l’allontanamento, anche dalle famiglie. Altro gruppo a rischio è quello dei sopravvissuti alla rianimazione, coloro costretti anche a dover di nuovo imparare a respirare autonomamente dopo esser estati intubati, evento traumatico vissuto in solitudine. Terzo gruppo: i familiari delle vittime, soprattutto dei morti della prima ondata di epidemia, durante la quale “consegnato il proprio caro alle istituzioni sanitarie se ne perdeva completamente traccia”. Sebbene oggi sia più facile avere contatti con i ricoverati, “le persone che si aggravano fortemente e che entrano nelle sub intensive entrano da soli e se muoiono, muoiono da soli, e questo è un grande dramma per i parenti dei deceduti”. In generale però, avverte Cantelmi, tutta la popolazione soffre e soffrirà, per quella che viene chiamata “la fatica pandemica, la fatica della pandemia, una fatica psicofisica con un discreto disagio emotivo che si manifesta nell’immediato, ma che può essere anche più insidiosa”.

I disturbi nei bambini

È cosa ne è dei bambini? “Un dato recente – prosegue Cantelmi – ci dice che i nostri bambini sono tornati di nuovo a dormire male. Nella prima ondata, circa il 50% ha mostrato disturbi del sonno, ora di nuovo cominciano a soffrire di insonnia ad essere agitati, ad avere altre tensioni”. Sono tanti i fattori ad incidere sulla psiche, allo stress da paura da contagio, si associano la sofferenza per le restrizioni e per l’allontanamento dai propri cari, quello più importante però, ritiene Cantelmi, è quello che viene definito ‘cambiamento-velocità’. “La pandemia – spiega lo psichiatra – genera necessità di cambiamenti velocissimi, di adattamenti nuovi, di forme di controllo della socialità che hanno sorpreso tutti, senza dimenticare l’uso invasivo della tecnologia, la perdita del contatto sociale nella scuola”, dunque una serie di cambiamenti importantissimi e che sono stati velocissimi, così come anche nell’economia e nel lavoro. Si è quindi chiamati a rispondere in tempo reale a questi cambiamenti, con in più “una spada di Damocle clamorosa" che è quella della paura delle conseguenze del contagio, per noi e per i nostri cari, “una tenaglia micidiale, che mette il nostro sistema cervello-mente a dura prova”. A questo poi si lega l’incertezza del futuro, è difficile pensare al domani e in qualche modo “aprirsi in maniera chiara alla speranza, il che pesa tantissimo e genera un grande disagio”.

La speranza come risposta al disagio 

Tutto questo ci dice, prosegue Cantelmi, che “oltre ad avere le macerie economiche, sanitarie, e così via, ci sono le macerie emotive, per le quali bisogna fare qualcosa che interroga tutti: psicologici, psichiatri, professionisti della salute mentale, ma ovviamente tutti coloro che si occupano anche di umanità, e quindi anche tutte le attività pastorali della Chiesa italiana”. Nel convegno del 28 novembre si sottolineerà quanto sia importante anche agire animati dalla speranza cristiana, sarà un momento in cui, spiegano gli organizzatori, il profilo medico-psichiatrico sarà in dialogo con la disciplina pastorale affinché “alcuni punti possano essere illuminati dalla fede e accompagnati dalla speranza cristiana”. “Mi attendo una formidabile risposta della Chiesa – conclude Cantemi – dobbiamo, come dice Papa Francesco, chinarci sulla realtà, quindi bisognerà accettare queste analisi, ma la risposta più straordinaria, più efficace, a ogni disagio psichico e in ogni tempo, è sempre quella legata alla capacità di aprire strade di speranza, questo lo affidiamo alla riflessione dei nostri pastori, che dovranno tramutare tutto questo in una luce e non in una ombra”.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

25 novembre 2020, 07:42