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In Nuova Zelanda, il referendum sull'eutanasia. La Chiesa: tutelare la vita

Il 17 ottobre in Nuova Zelanda si vota per le elezioni generali e due referendum confermativi: uno sulla legalizzazione della cannabis a scopo ricreativo e l’altro sulla legge relativa al “fine-vita”. La Chiesa segnala che si tratta di una norma pericolosa: "passerà il concetto che alcune vite sono indegne di essere vissute”

Isabella Piro-Città del Vaticano

Urne aperte, in Nuova Zelanda, il prossimo 17 ottobre per le elezioni generali e due referendum confermativi: uno sulla legalizzazione della cannabis a scopo ricreativo e l’altro sulla legge relativa al “fine-vita” (End of Life Choice Act 2019 – Eolc). Se approvata in via definitiva, essa renderà possibile l'eutanasia per le persone, dai 18 anni in su, affette da malattia terminale o che si pensa abbiano sei mesi o meno di vita, e che si trovano in uno stato avanzato di declino irreversibile, sperimentando - afferma la normativa - "una sofferenza insopportabile che non può essere alleviata in un modo che il malato considera tollerabile". In vista delle votazioni e, in particolare, di quest’ultimo referendum, il Centro di bioetica “Nathaniel”, afferente alla Conferenza episcopale neozelandese (Nzbc), ha pubblicato una lunga riflessione in cui, innanzitutto, ribadisce che “qualsiasi aiuto a morire equivale alla legalizzazione della discriminazione, perché presuppone che si giudichi il valore di una persona e quindi il suo diritto alla vita”. Diversi e gravi i pericoli che l’Eolc presenta, spiega il testo: chi decide di avvalersi dell’eutanasia non è obbligato a parlarne con un familiare o una persona di fiducia; non è necessaria la presenza di testimoni indipendenti; non ci sono garanzie per constatare casi di coercizione e di depressione e mancano i requisiti sulla consapevolezza del malato nel momento in cui ricorrea tale pratica.

Un punto di non ritorno

Per questo, la Chiesa della Nuova Zelanda afferma che “non è saggio promulgare una legge che è pericolosa”, in quanto significherebbe “passare il Rubicone, ovvero raggiungere un punto di non ritorno creando, sia nel diritto che nella mentalità delle popolazione, una categoria a parte: quella dei malati terminali le cui vite non sarebbero più ritenute degne di essere tutelate come le altre”. “Ironia della sorte – prosegue la riflessione – la morte assistita sarà agevolata dallo Sanità pubblica, quella stessa cui si chiede di fornire cure e assistenza ai malati terminali”. Se, quindi, si rende l’eutanasia “parte della cultura della cura – sottolineano i vescovi neozelandesi – cambierà il modo in cui si pensa ai malati ed ai disabili, perché passerà il concetto che alcune vite sono indegne di essere vissute”. Non solo: approvare definitivamente l’Eolc significherebbe scivolare rapidamente da “ciò che è ammissibile a ciò che è auspicabile e quindi da incoraggiare, soprattutto in una società orientata verso i giovani forti, sani e abili”.

Esistono le cure palliative

Quattro, poi, le caratteristiche dell’Eolc che il Centro “Nathaniel” definisce “totalmente fuori luogo”: la prima è che il campo di applicazione dell’Act è piuttosto vasto, pari ad “oltre 25mila persone all’anno”; la seconda è che tale legge non è “un’ultima istanza”, altrimenti sarebbe accessibile “solo alle persone per le quali le cure standard non sono risultate efficaci in alcun modo”. A tale proposito, si ricorda che il dolore e la sofferenza intollerabile dei malati terminali possono essere “gestiti e alleviati fino ad arrivare alla sedazione, se necessario”; quindi “è assolutamente inaccettabile che oggi le persone muoiono nel dolore quando c’è la possibilità di avere cure palliative di qualità”. In terzo luogo, pensare all’eutanasia come ad un diritto crea “un ulteriore peso su coloro che non vogliono avvalersene, poiché dovranno giustificare la loro scelta di non voler morire e saranno visti, sempre più, come la causa di uno spreco di risorse”. Infine, l’Eolc contiene in sé molti elementi che fanno presagire ad un suo ulteriore ampliamento.

Non vengono protette le persone vulnerabili

Guardando, poi, ad altre nazioni in cui le pratiche eutanasiche sono già in vigore, ad esempio i Paesi Bassi, la Chiesa cattolica neozelandese evidenzia “la continua ed esponenziale crescita del numero di persone che vi ricorrono”, il che indica che, “in breve tempo, l’eutanasia passa dall’essere un gesto estremo al modo predefinito di morire per un malato terminale”. Inoltre, “sin dagli anni ’60, la Nuova Zelanda ha abolito la pena capitale perché ritenuta ingiusta e inaccettabile”: come fare, allora, quando si verificheranno “casi di morte ingiusta” dovuti ad un’eutanasia richiesta dopo “una diagnosi sbagliata o una prognosi imprecisa?”. Infine, il Centro di bioetica sottolinea che una simile normativa, introducendo il concetto eutanasico come “un modo normale di morire”, “non proteggerà più le persone vulnerabili, tra cui gli anziani, per i quali varrà sempre di più il principio ‘meglio morti’”.

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10 settembre 2020, 11:07