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Il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, in visita alla cattedrale maronita di San Giorgio in parte distrutta dall'esplosione di un mese fa Il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, in visita alla cattedrale maronita di San Giorgio in parte distrutta dall'esplosione di un mese fa

Beirut ringrazia il Papa per l'iniziativa d'amore per il Libano

Il parroco della cattedrale maronita, Padre Jad Chlouk, esprime commozione e riconoscimento per la giornata universale di preghiera indetta da Papa Francesco: “E’ un segno di vera compassione. Qui la situazione è sempre più drammatica: i giovani cristiani stanno fuggendo dal Paese stanchi di violenze e crisi senza fine”. La Chiesa sempre più mediatrice per la pace

Federico Piana - Città del Vaticano

All'indomani della giornata universale di preghiera e di digiuno per il Libano, il grazie a Papa Francesco per aver indetto questa iniziativa di amore e solidarietà, arriva proprio dal parroco della cattedrale maronita di San Giorgio, a Beirut, che giovedì ha accolto il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, inviato dal Papa per esprimere vicinanza alle sofferenze della gente ed accompagnare la popolazione fiaccata dal dolore e dalla disperazione: “Il gesto del Pontefice - dice padre Jad Chlouk – è molto significativo per noi cristiani: simboleggia la compassione, quella vera, che questa volta è stata espressa anche da tutto il mondo. Siamo davvero toccati e contenti ”.

Ascolta l'intervista a padre Jad Chlouk

Perché per il Libano sono importanti la preghiera ed il digiuno?

R.- Perché solo questi possono essere gli strumenti efficaci per combattere la corruzione, l’odio e la persecuzione che imperversano nel Paese. Lo ha detto anche Gesù: molte cose hanno bisogno del digiuno e della preghiera. Quando l’orizzonte è chiuso, allora bisogna guardare al Signore, che non ci fa sentire soli, come ha ricordato il cardinale Parolin.

Il cardinale Parolin, nel suo discorso pronunciato nella cattedrale maronita di San Giorgio alla presenza dei leader religiosi, ha richiamato le parole del Papa affermando che ‘non bisogna lasciare solo il Libano perché il Libano ha bisogno del mondo, ma il mondo ha anche bisogno di quell’unico esperimento di pluralismo che è il Libano’…

R.- Le parole espresse dal Papa, per noi, sono parole di verità. La nostra situazione è grave. Ad esempio, i giovani del nostro Paese, soprattutto cristiani, non vogliono più rimanere qui. E questo è molto pericoloso. Negli ultimi anni, molti cristiani sono scappati dall’ Iraq e dalla Siria mentre in Giordania sono rimasti il 3% e nella Palestina meno dell’1%. I cristiani che sono rimasti nel Libano sono pochi e saranno sempre di meno: eccolo il grande pericolo per tutto il Medioriente. L’unica salvezza è il modello libanese della convivenza pacifica che rispetti la dignità umana: il mondo lo deve conoscere e salvare.

C’è un modo per evitare che i cristiani lascino il Libano?

R.- I giovani cristiani non vogliono più vivere le violenze e le insicurezze politiche, economiche e sociali che il Paese si trova ad affrontare ciclicamente ogni dieci o quindici anni. Loro vogliono la pace e la stabilità: è l’instabilità a guidarli fuori dal Paese. Negli anni passati potevamo convincerli a rimanere dicendo loro ‘restate, passerà’, ma ora, con il susseguirsi a ritmo vertiginoso delle crisi, non possiamo più dire nulla.

Qual è la strada, secondo lei, per far tornare il Libano una terra di pace?

R.- Bisogna evitare che tutti i conflitti internazionali vengano giocati sulla terra del Libano. Lo chiediamo, con forza, a tutta la comunità internazionale.

La Chiesa può essere mediatrice per la pace?

R.- La Chiesa è una presenza di pace e continua ad essere una luce, non solo per i fedeli ma per tuti gli uomini e le donne del Libano. Continua ad essere quel sale sparso in terra utile per aiutare gli altri.

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05 settembre 2020, 08:30