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Come comunicare al tempo del Covid Come comunicare al tempo del Covid 

Comunicare ai tempi del Covid-19: la forza dei social network

Sempre più cruciali durante l’attuale emergenza sanitaria globale, le reti sociali sono divenute uno dei canali di informazioni più utilizzati dalla Chiesa cattolica, permettendole di raggiungere le comunità in isolamento

Isabella Piro – Città del Vaticano

Qual è l’importanza dei mezzi di comunicazione sociale in tempi di pandemia da coronavirus? Pone questa domanda l’attuale numero del Bollettino settimanale sulle persone vulnerabili e fragili in movimento in epoca di Covid-19, a cura della Sezione per i migranti e i rifugiati del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale. E le risposte evidenziano, in primo luogo, il ruolo fondamentale assunto dai social network: attraverso di essi, infatti, non solo i fedeli possono seguire in streaming le celebrazioni liturgiche, ma possono anche abbattere, virtualmente, le barriere imposte dal lockdown, sperimentando un nuovo modo di essere comunità. La community, insomma, ha permesso di ricreare la comunità.

Le reti sociali in aiuto di migranti e rifugiati

Le reti sociali, inoltre, sono divenute fondamentali per portare aiuto e sostegno ai migranti e rifugiati, tra le persone più colpite dalle conseguenze della pandemia. Basti citare l’app Refaid (Refugee Aid App), sviluppata in diversi paesi europei e utilizzata da oltre 400 organizzazioni non governative in tutto il mondo per cercare di migliorare le condizioni di vulnerabilità delle popolazioni migranti. Un esempio concreto dell’importanza di tale strumento arriva da Tangeri, in Marocco: qui, la delegazione diocesana per le migrazioni, in collaborazione con altri organismi, tra cui la Caritas locale, ha lanciato il progetto #Refaidfront, ovvero una raccolta-fondi per autorizzare l’uso della App in tutto il Marocco. In tal modo, le organizzazioni umanitarie sul territorio potranno dare informazioni, fornire aggiornamenti in tempo reale e facilitare l’accesso ai servizi di base per i migranti, i rifugiati, gli sfollati e i richiedenti asilo.

Diffondere la speranza nel “mare” del web

L’Afghanistan presenta, invece, uno scenario differente: qui, il Jesuit Refugee Service (Jrs) utilizza le piattaforme social per restare al fianco di bambini e giovani sfollati, garantendone la formazione scolastica. Sulle reti sociali vengono condivisi audio, video, documenti didattici utili per le lezioni on line, ma sono previste anche sessioni interattive bisettimanali. Ancora diversa la situazione del Malawi, dove la Chiesa locale punta sui social network come strumento per mantenere viva la speranza dei fedeli. Il coordinatore nazionale delle Comunicazioni sociali, padre Godino Phokoso, invita inoltre i cristiani a riflettere seriamente sull’uso corretto delle reti digitali anche come antidoto alle così dette “fake news”, soprattutto nell’attuale contesto della pandemia da Covid-19. I social media, aggiunge, “devono permetterci di diffondere il Vangelo, ispirando così tra i credenti la speranza che presto la pandemia sarà superata”.

Evangelizzare il continente digitale

Gli fa eco, in un certo senso, il padre gesuita Leszek Gęsiak, portavoce della Conferenza episcopale della Polonia. In un recente intervento, il sacerdote ha sottolineato che i social media rappresentano una duplice opportunità per la Chiesa: da un lato, le permettono di raggiungere quegli utenti che rimangono lontani dalla comunità dei credenti, dall’altra le consentono di “contribuire alla promozione dei valori cristiani su internet, evangelizzando il così detto ‘continente digitale’".

La forza della radio

Ma, oltre ai social network, c’è un altro mass-media che, in tempo di pandemia, ha dimostrato la sua forza: si tratta della radio. Dove manca l’elettricità o dove l'accesso a Internet è circoscritto alle aree urbane, come accade spesso in Africa, la radio svolge un ruolo importante nella diffusione della fede, ma anche nell'istruzione, nello sviluppo e nella diffusione di informazioni in zone rurali. Ad esempio, in Burkina Faso, la Conferenza episcopale locale ha riunito tutte le radio diocesane per agire in sinergia nella lotta al coronavirus, diffondendo capillarmente informazioni sulle misure anti-contagio del Covid-19, ma anche accompagnando gli ascoltatori con celebrazioni liturgiche e momenti di preghiera.

Assistenza psicologica per ammalati e vulnerabili

Sempre dall’Africa, arrivano altri due esempi: il primo si chiama “Tele and Radio Counselling” ed è il nuovo programma radiofonico settimanale lanciato dalla Conferenza episcopale in Zambia per offrire consulenza psicologica alle persone contagiate o psicologicamente provate dalla pandemia. Attraverso Radio Maria Yatsani Voice, che copre il territorio di tutta la capitale Lusaka e dintorni, vengono offerte terapie di gruppo o consulenze telefoniche individuali a tutte le persone in difficoltà. “Vogliamo incoraggiare la condivisione di esperienze, ascoltarci l'un l'altro, fornire conforto e dare una parola di speranza”, spiega padre Jonas Phiri, coordinatore del dipartimento biblico e liturgico della Chiesa locale.  

Programmi didattici e di catechesi

Il secondo esempio riguarda, invece, il Malawi dove le Pontificie Opere Missionarie hanno lanciato, via radio e tv, una serie di programmi di catechesi rivolti a bambini e giovani dai 5 ai 35 anni. Le trasmissioni sono diffuse da Luntha Television ogni sabato mattina, sia in lingua locale che in inglese, e vanno in onda, nello stesso giorno, anche su Radio Alinafe dell’Arcidiocesi di Lilongwe e su Radio Maria Malawi. La domenica pomeriggio, invece, è la volta di una sorta di quiz, intitolato “Impara la tua fede e vinci”, basato sulle lezioni di catechismo svoltesi il giorno precedente. I premi per i vincitori consistono in articoli religiosi come la Bibbia e le coroncine del Rosario.

Italia. Vincenzo Corrado (Cei): comunicazione è esistenziale

Infine, l’Italia. Qui, nel mese di marzo, il più critico della pandemia, la Chiesa locale (Cei) ha creato il sito web https://chiciseparera.chiesacattolica.it, per “dare segni di speranza e di costruzione del futuro”. Si tratta di “un ambiente digitale che raccoglie e rilancia le buone prassi messe in atto dalle diocesi, offre contributi di riflessione e approfondimento, condivide notizie e materiale pastorale”, divenendo così un vero punto di riferimento per i fedeli. “Le criticità, lo smarrimento, la paura non possano spezzare il filo della fede – è stato ribadito dalla Cei - ma annodarlo ancora di più in speranza e carità”.        In questo contesto, è emersa con forza una caratteristica essenziale della comunicazione, ovvero il suo essere “primariamente esistenziale”, come afferma Vicenzo Corrado, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della Cei:

Ascolta l'intervista a Vincenzo Corrado

R. - La pandemia ha messo in risalto, ancora una volta, l’importanza del comunicare, l’importanza di una comunicazione che sia intessuta di storie e di quell’aspetto narrativo che Papa Francesco ha focalizzato nel Messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali di quest’anno. Credo che la pandemia, con tutte le ferite profonde che ha prodotto, abbia messo in luce, ancora una volta e maggiormente, che ora ci attende un compito delicato di progettare un cammino comunitario che favorisca un maggior coinvolgimento di genitori, giovani e adulti. Questa progettazione è imprescindibile che avvenga attraverso il mondo della comunicazione. Abbiamo sperimentato, durante i giorni bui del lockdown e lo stiamo vivendo ancora adesso, che la comunicazione non è qualcosa di meramente strumentale o di accessorio, ma appartiene alla nostra stessa esistenza. Credo che questa sia la consegna primaria, maggiore che abbiamo ricevuto da questo tempo difficile: la comunicazione non è qualcosa di altro, non è qualcosa di esterno a noi, ma è primariamente esistenziale. Questa è una riflessione che io ho fatto a maggior ragione tenendo conto delle reti sociali che, in questo periodo, hanno favorito un certo tipo di comunicazione e di collegamento.

D. – Durante il lockdown, le reti sociali hanno avvicinato di più i giovani alla Chiesa?

R. – Hanno favorito un loro maggior coinvolgimento, soprattutto nel momento in cui ci siamo tutti ritrovati chiusi nelle nostre case ed abbiamo riscoperto di far parte di una comunità che va oltre le barriere restrittive. In questo senso, le community hanno favorito una sorta di avvicinamento che, in quel momento particolare, non era possibile. Ovviamente, ora bisogna riflettere sull’utilizzo che è stato fatto delle reti sociali, perché abbiamo chiaramente scoperto che ancora persiste una sorta di analfabetismo digitale. Per cui, il fatto che i giovani si siano sentiti maggiormente coinvolti, oppure abbiano risposto in maniera notevole a determinati input che venivano dalle reti sociali ci deve far riflettere su un impegno educativo e formativo che non può essere più disatteso.

D. – In tempo di pandemia, possiamo parlare concretamente di “nuova evangelizzazione”, così come la definiva San Giovanni Paolo II, ovvero nuova soprattutto “nei metodi e nell’espressione”?

R. – Credo che la nuova evangelizzazione sia qualcosa che si rinnova di giorno in giorno. Naturalmente, bisogna riflettere moltissimo e tematizzare, anche all’interno delle nostre comunità, il fatto che questa nuova evangelizzazione avvenga con modalità rinnovate, cioè tenendo conto anche dei codici linguistici che le reti sociali hanno. Questo serve a non ingenerare confusione tra un messaggio, quello evangelico, che conserva la sua freschezza nel tempo, e la riduttività che può passare attraverso la concisione di messaggi più stringenti. La domanda che mi pongo sempre è proprio questa: può l’instantaneità comunicativa delle reti sociali contenere il messaggio evangelico che ha proprio nella freschezza la sua natura e che non viene svilito dal tempo, bensì si rinnova nel tempo? Ovviamente, la risposta può essere sì, ma il nostro impegno deve essere quello di rintracciare quei codici linguistici, capirli, saperli usare al meglio, proprio per non creare quell’effetto di mera trasposizione di contenuti di fede all’interno di una comunicazione che ha modelli e codici specifici. E qui entra in campo la nostra capacità di saper leggere, informare e formare sulle novità della comunicazione per poter far aderire al meglio il messaggio del Vangelo all’interno dei nuovi contesti.

D. – Gli strumenti di comunicazione sociale hanno portato la Chiesa vicina a tutti, nel periodo più difficile del lockdown. Hanno permesso anche alle persone di crescere nella consapevolezza della fede?

R. - Credo che, nel momento in cui abbiamo vissuto una sorta di buio totale a causa del lockdown, la fiamma della fede sia passata anche attraverso questi strumenti. Penso che essi abbiano favorito e catalizzato degli interrogativi che hanno a che fare con la nostra esistenza. Ci hanno permesso di prendere sempre più coscienza del fatto che siamo parte di un tutto, siamo parte di una comunità e che questa comunità era sulla stessa barca. Una barca che ha navigato anche nel mare delle reti sociali, tra sofferenze e speranze. E lì dove il dubbio, la domanda, la sofferenza hanno intravisto quel barlume che deriva dalla luce della fede, credo che una sorta di crescita ci sia stata.

Tutti i numeri del Bollettino della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale possono essere consultati al seguente link:

https://migrants-refugees.va/it/blog/2020/04/21/covid-19-nessuno-va-dimenticato/   

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10 settembre 2020, 09:54