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Il cardinale Giuseppe Petrocchi davanti la Basilica di Collemaggio di L'Aquila Il cardinale Giuseppe Petrocchi davanti la Basilica di Collemaggio di L'Aquila 

Perdonanza. Petrocchi: sia esperienza di revisione di vita

L’Aquila è chiamata a diventare la ‘Capitale del Perdono’: così il cardinale Petrocchi al rito di chiusura della Porta Santa della basilica di Collemaggio. La Perdonanza Celestiniana aiuti ad essere testimoni coraggiosi di umiltà fraterna e perseveranti costruttori di pace, ha detto il porporato

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Si è chiusa con una Messa stazionale presieduta dall’arcivescovo di L’Aquila, il cardinale Giuseppe Petrocchi, la Perdonanza Celestiniana. Nella sua omelia il porporato ha sottolineato che l’evento “non deve diventare semplice ritualità tradizionale, ma esperienza personale e comunitaria di revisione di vita” e che “il perdono è una strategia intelligente ed efficace, anche sul piano umano. Un antidoto potente alla patologia del conflitto che, come si sa, è contagiosa ed epidemica”. Per il cardinale Petrocchi “la saggezza della riconciliazione costituisce un fattore di promozione integrale della persona e della comunità sociale” e “il perdono tiene alta la soglia della sana tolleranza e rappresenta un farmaco che immunizza dalla logica distruttiva della ostilità e dello scontro”. “L’Aquila deve diventare ‘Scuola di incontro e di confronto’ - ha aggiunto - laboratorio per attivare percorsi di riconciliazione. In sintesi: è chiamata a diventare, anche sul piano culturale e sociale, la ‘Capitale del Perdono’”.

Chi perdona vince il male con il bene

L’arcivescovo di L’Aquila ha poi evidenziato che “perdonare è un atto ‘complesso’: richiede l’intervento ‘coordinato’ di molte virtù, tra cui la fortezza, la prudenza e la mitezza” e "non vuol dire far finta di niente, come se la cosa non fosse mai accaduta; né pretende di cancellare il passato dalla memoria”. “Chi perdona prende sul serio ciò che è accaduto, ma lo supera. Non si lascia sopraffare dal male, ma vince il male con il bene” ha detto il porporato che ha definito il perdono “un gesto di libertà e un servizio alla verità” “Solo chi, dentro di sé, ha sciolto i nodi che lo legavano all’egoismo e ha guadagnato robuste dosi di saggezza e di generosità evangelica può perdonare” ha precisato, rimarcando che tra le attitudini necessarie per maturare un’autentica predisposizione al perdono, vi è l’umiltà, per definizione la prima alleata della misericordia, mentre il suo esatto contrario è l’orgoglio, in rotta di collisione con la disponibilità al perdono e refrattario alla comprensione benevola del prossimo.

Attrezzati per affrontare la sfida del Covid-19

Infine il cardinale Petrocchi, ricordando l’attuale pandemia, ha avuto un pensiero per le vittime del contagio e le loro famiglie e per il personale sanitario “che si prodiga per debellare questa calamità infettiva”. “Nella misura in cui siamo mobilitati nel combattere il male morale, che è la ‘peste dell’anima’, siamo pure attrezzati per affrontare la sfida del Covid-19 - ha osservato l’arcivescovo di L’Aquila -. Infatti, oltre al rispetto delle prescrizioni sanitarie e delle misure di sicurezza, ci viene chiesto l’esercizio fattivo della cittadinanza responsabile e la ricerca sinergica del bene comune”. “La Perdonanza - ha concluso il porporato - ci aiuti ad essere testimoni coraggiosi di umiltà fraterna e perseveranti costruttori di pace: ora e sempre”.

L’apertura della Perdonanza con il cardinale Zuppi

Il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, venerdì sera ha invece sviluppato sul Cristo buon pastore la sua riflessione all’apertura della Porta Santa della basilica di Santa Maria di Collemaggio. “Chi entra qui - ha detto il porporato facendo riferimento alla porta del perdono della basilica - trova Gesù che ci aiuta a vivere perché ci ama e ci insegna a scegliere quello che non finisce, quello che ci serve per davvero. Ma da qui si esce per amare il prossimo!”. “Il cristiano non esce ma entra nella storia, la ama e in questa cerca di vivere l’amore che Dio gli fa conoscere” ha precisato. Il cardinale Zuppi ha poi ricordato che Celestino V ha indicato “il cambiamento alla Chiesa e al mondo, in un tempo difficile, proponendo il solo Vangelo, l’umiltà, la preghiera, il docile servizio agli altri”. “Così si riforma la Chiesa e si cambia il mondo - ha aggiunto - Ci ha donato la perdonanza per liberare il nostro cuore dal male”. 

Il male è sempre una pandemia

Facendo riferimento all'emergenza sanitaria, il porporato ha spiegato inoltre che “il male è sempre una pandemia: colpisce tutti e ognuno, si trasmette, ci rende contagiosi, ci fa credere di non stare sulla stessa barca e ci illude che pensando a noi stessi troviamo sicurezza dalla paura”, mentre invece “la misericordia spezza questa catena, è il vaccino che ci affranca dal male e dalle sue conseguenze, che durano tanto a lungo”. Da qui il richiamo dell’arcivescovo di Bologna: “Chiediamo perdono per perdonare e disintossicare il nostro mondo, che non sa perdonare, dall’odio e dalla divisione”. Il cardinale Zuppi ha anche enumerato, come Papa Francesco il 27 marzo scorso in piazza San Pietro, durante la preghiera per liberare il mondo dalla pandemia, i motivi per i quali l'umanità deve chiedere perdono: “Abbiamo creduto di vivere sani in un mondo malato e quindi siamo stati indifferenti verso la sofferenza altrui (…) ci siamo creduti a posto con stereotipi con cui mascheravamo i nostri ‘ego’, sempre preoccupati della propria immagine”.

Il perdono ci fa guardare al futuro con speranza

Non è possibile vivere isolati, ha sottolineato ancora il porporato spiegando che il perdono “aiuta a ricostruire “la relazione per scoprire il nostro prossimo e che noi siamo prossimi di qualcuno", che "il perdono ci restituisce a noi stessi perché ci ridona quello per cui siamo stati creati: amare”. Di fronte alle “pandemie della povertà, della fame, della guerra che producono frutti di morte”, ha rimarcato il cardinale Zuppi, “il perdono ci rende nuovi per guardare al futuro con speranza e ci dona la passione e la leggerezza per metterci a farlo. Se vogliamo vivere dobbiamo cambiare, ad iniziare da ognuno di noi”. Quindi l’arcivescovo di Bologna ha affermato che amare il prossimo come ci insegna Gesù Cristo “è via di felicità”, “è gioia” e che solo curando le ferite del prossimo si rimarginano le proprie, e ancora che “il perdono è per perdonare. È amore che ci fa amare”. Infine il porporato ha rivolto ai fedeli un invito: “Se vogliamo guarire questo mondo dobbiamo modificare i nostri stili, difendere la vita sempre e con tutto noi stessi, dal suo inizio alla fine, per tutti e sempre!”.

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29 agosto 2020, 11:08