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Blocchi stradali in Bolivia Blocchi stradali in Bolivia

Bolivia, i vescovi: si ascolti la voce del dialogo per il bene del Paese

Emergenza sanitaria, tensioni sociali, fragilità economica e instabilità politica segnano il difficile, attuale cammino della Bolivia. I vescovi boliviani chiedono alle parti sociali e a tutte le componenti del Paese andino di imboccare la via del dialogo per mettere da parte atteggiamenti violenti e superare la crisi. Intervista con monsignor Eugenio Coter vicario apostolico di Pando, nel nord della Bolivia

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

La Bolivia è un Paese che continua ad essere scosso da profonde divisioni. Alla preoccupante emergenza sanitaria legata al Covid-19, che finora ha provocato la morte di oltre 3700 persone, si aggiunge un clima di forte tensione. Da una settimana blocchi stradali e scioperi, organizzati dalla Central Obrera Boliviana (Cob) per protestare contro il rinvio delle elezioni, bloccano il Paese. Le barriere impediscono il trasporto via terra di materiale essenziale da Santa Cruz de la Sierra, nell'est della Bolivia, fino a La Paz e Cochabamba al centro e all'ovest.

Mancano beni di prima necessità e bombole di ossigeno

Oltre al cibo e altri prodotti di base, c'è una grave carenza di bombole di ossigeno. La presidente ad interim, Jeanine Anez, ha annunciato "azioni per rafforzare la sicurezza nel Paese".  Il governo boliviano ha ordinato alle forze armate e alla polizia di sorvegliare in particolare i convogli di materiale medico. Secondo l’esecutivo boliviano, la mancanza di ossigeno, dovuta ai blocchi stradali, ha causato la morte di 31 pazienti affetti da Covid-19 la scorsa settimana.

Elezioni posticipate

Le elezioni presidenziali del ‘post Morales’ che si dovevano tenere il 6 settembre (rinviate dalla data originale di maggio), a fine luglio sono state rinviate per la seconda volta. Ora sono state fissate al 18 ottobre. L’ex presidente boliviano Evo Morales, in esilio in Argentina e dimessosi dopo l'annullamento per brogli delle elezioni dello scorso mese di ottobre, ha proposto ai movimenti che lo sostengono e che continuano ad organizzare blocchi stradali, di accettare un accordo "definitivo e inamovibile" sulla data del 18 ottobre per lo svolgimento delle consultazioni.

Appello dei vescovi boliviani

La Conferenza episcopale della Bolivia (Ceb), di fronte ai “gravi conflitti sociali e alla crisi sanitaria” che sconvolgono il Paese, ha diffuso una dichiarazione ribadendo la volontà di “facilitare il dialogo ovunque sia necessario”. I presuli esprimono in particolare preoccupazione per la violenza, sempre più grave, che “mette in pericolo la sicurezza e la vita della popolazione”. “L’odio non è la soluzione a nessun problema", scrivono i vescovi boliviani che condannano “ogni forma di violenza, da qualunque parte provenga, perché porta alla perdita di vite umane”. E ad “una spirale infinita che genera ulteriori conflitti”. Quello della Chiesa è un accorato appello a tutto il Paese, sottolinea monsignor Eugenio Coter vicario apostolico di Pando, nel nord della Bolivia.

Ascolta l'intervista a monsignor Coter

R. - Abbiamo ripetuto un appello a tutto il Paese e alle parti sociali per dialogare. L'attuale situazione di crisi ha portato a sette giorni chiusura della via di comunicazione centrale del Paese. La strada principale che collega Santa Cruz, Cochabamba e La Paz è bloccata. Il governo precedente, dopo i fatti di ottobre, ha lasciato il Paese ma mantiene il controllo del potere legislativo, di quello giudiziario e parzialmente dell’apparato esecutivo.

I blocchi stradali rendono la Bolivia un Paese ancora più instabile…

R. - Certamente, questa situazione del blocco sta portando alla perdita di un'economia già di per sé povera. E quindi con un danno economico superiore ai 70 milioni di dollari al giorno. Si registra tutto una problema serio di rifornimento nelle città principali sia di viveri sia di ossigeno.

Quale è l’appello dei vescovi boliviani in un contesto così difficile?

R. - Abbiamo lanciato un appello alle parti sociali a dialogare per cercare una soluzione. Il movimento più radicale all’interno della Cob si sta rifiutando di dialogare. È arrivato anche un appello dell'ex presidente Morales dall'Argentina invitando comunque questa parte radicale  della Cob a dialogare perché si sono accorti che c’è un rifiuto popolare a questa situazione. La gente è scesa in strada alzando i blocchi stradali e facendo fuggire questi gruppi radicali. Però la situazione è estremamente tesa ed è già costata la vita ad alcune persone, morte per la mancanza di ossigeno.

Quello che lacera la Bolivia è un vero e proprio conflitto sociale. Qual è il prezzo di questo conflitto?

R. - Il conflitto sociale sta portando ad un impoverimento continuo e più grande nel Paese. Ci sono previsioni di un peggioramento economico che ridurrà del 5% il prodotto nazionale. C’è poi tutta una situazione legata al lockdown che sta pesando e che, solo parzialmente, si sta riattivando. Ma questa situazione lascia nella strada moltissime persone con una forte disoccupazione proprio per la fragilità di questa economia. E quindi questa situazione è pesante. Non c'è un'altra soluzione che non quella di un dialogo. Certamente un dialogo che permetta una soluzione concordata, ma nello stesso tempo rispettosa della legge. Il presidente della Conferenza episcopale boliviana già nell’ultimo messaggio, come nei giorni scorsi, ha detto che è comunque criminale chiudere il rifornimento dell'ossigeno e dei viveri alle città.

La Chiesa si è sempre dichiarata pronta a sostenere e a promuovere la via del dialogo…

R. - La Chiesa ha dato disponibilità a partecipare al dialogo. La presidente Jeanine Anez ha convocato da parte sua un dialogo. Ma due dei tre partiti che si oppongono alle forse del governo anteriore,  non hanno accettato questo invito. Da qui l'appello, un’altra volta, della Conferenza episcopale ad andare al tavolo del dialogo, anche se la situazione è complessa. 

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12 agosto 2020, 07:39