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Le parrocchie di Roma offrono spazi alle scuole per farle riaprire in sicurezza

Rosario Salamone, direttore dell’Ufficio Scuola del Vicariato, illustra l’iniziativa della Diocesi di Roma che punta a superare la didattica a distanza e a testimoniare una Chiesa incarnata nella città

Fabio Colagrande – Città del Vaticano

Gli spazi di alcune parrocchie romane saranno dati in comodato d’uso alle scuole della Capitale per consentirgli di riaprire a settembre nel rispetto delle normative di sicurezza anti-Covid. L’iniziativa della Diocesi del Papa, lanciata nei giorni scorsi dal cardinale Angelo De Donatis, ha preso il via con il coinvolgimento dell’Ufficio per la pastorale scolastica e l’insegnamento della religione cattolica e dell’Ufficio giuridico del Vicariato che sono già in contatto con il Comune e l’Ufficio Scolastico Regionale. Si tratta di un’inedita collaborazione fra istituzioni ecclesiali e civili attuata, nei tempi difficili della pandemia, secondo un principio di sussidiarietà. Ma anche del segno di una Chiesa incarnata pienamente nella società che si mette a servizio di tutti i cittadini, a prescindere dal loro credo. Lo conferma, ai microfoni di Radio Vaticana Italia, il professor Rosario Salamone, direttore dell’Ufficio Scuola della Diocesi di Roma:

L'intervista al prof. Rosario Salamone

R.- Questa idea è nata dal grande impegno e dal grande senso di responsabilità che i capi d’istituto stanno dimostrando per cercare di rendere possibile a settembre una didattica non più a distanza, ma “in presenza”. Per fare questo, anche per effetto delle norme restrittive dell'autorità sanitaria, c’è bisogno di spazio. Questi spazi non devono essere però soltanto luoghi fisici, ma anche spazi comunicativi, interiori, in modo da diventare davvero spazi di formazione dei ragazzi.  Lo dico perché credo che oggi rischiamo seriamente di perderci una generazione per un’asfissia di tipo spirituale. Allora, siccome vogliamo evitare questo rischio e respirare, per così dire, a pieni polmoni, abbiamo fatto questa proposta che il cardinale De Donatis ha immediatamente recepito e rilanciato per la Diocesi di Roma. Quindi, in uno spirito di sussidiarietà e coinvolgendo i soggetti istituzionali che sul territorio si devono occupare della formazione e della salute dei ragazzi, abbiamo pensato di mettere a disposizione delle scuole, laddove sarà possibile, gli spazi parrocchiali. Insieme al Comune di Roma e all'Ufficio Scolastico Regionale, nella persona del dott. Rocco Pinneri, si è pensato di trovare questi spazi e metterli se possibile a norma.  Questa sarà una competenza economica del Comune di Roma perché, per il resto, questi locali verranno dati alle scuole in comodato d'uso, dunque gratuitamente, e il contratto che verrà siglato fra il capo d'istituto e il parroco sarà valido fino ad agosto 2021, salvo nuove situazioni che potrebbero verificarsi.

Il primo passo sarà quindi una sorta di ricognizione di quali e quante aule o locali sono disponibili in ogni parrocchia….

R.- Esattamente… Sul territorio della Diocesi le parrocchie sono poco più di 330, quindi si tratterà di fare un riscontro tra la richiesta delle scuole, la disponibilità dei parroci e la ricognizione che un gruppetto di tecnici andrà a fare “in situ” per verificare se quei locali sono adeguati o quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria debbano essere fatti per renderli a settembre disponibili per la didattica. Ci sono ovviamente i problemi della sanificazione dei locali, perché gli stessi il pomeriggio potrebbero servire per le attività della parrocchia, per il catechismo o le attività associative o pastorali. Si tratta quindi di un coinvolgimento della società civile in senso lato, ampio, senza fare differenza fra ragazzi credenti e non credenti. La generazione dei ragazzi, infatti, ci appartiene tutta: è un tesoro, un capitale umano, sociale che ci appartiene tutto. E ciò indipendentemente dal fatto che uno studente sia cristiano, cattolico oppure non credente, ebreo o musulmano. Non importa: apriamo il cuore e apriamo gli spazi.

Potremmo definire questa iniziativa un esempio di una buona pratica di collaborazione tra chiesa e istituzioni civili?

R.- Certo! La chiesa sta dentro la società, è nella società. Non possiamo pensare di non farne parte. Siamo carne e ossa della società e quindi come tale la vogliamo vivere con senso di responsabilità e senza schematismi. Dobbiamo uscire fuori dalla cornice dell'affermazione astratta dei principi e dei diritti per diventare veramente carne, storia di quello che è nella parola di Dio. Non riesco a declinare in altro modo la nostra fede. Ed è soprattutto il nostro cardinale vicario che ci esorta a uscire nella città, ma ce lo sta insegnando in modo martellante e convincente proprio Papa Francesco. Dobbiamo uscire e uscire significa anche essere disponibili all'incontro, essere disponibili alla sorpresa e anche a volte alla delusione.  Ma oggi non c'è altro modo di vivere, io credo.

C’è stata sufficiente cura e attenzione nei confronti degli studenti in questi mesi di pandemia?

R.- Un giorno forse tracceremo un bilancio di come la scuola ha attraversato questo tempo difficile. Sono accadute veramente tantissime cose in questo periodo e ci sarà bisogno di un momento di riflessione. Intanto però dobbiamo evitare che si dica che dei ragazzi non ce ne occupiamo e che continueremo a tenerli a distanza perché io la vedo come una cosa estremamente negativa. La formazione vera, per me, si fa infatti in presenza. Dobbiamo come adulti trovare il modo di mostrare ai ragazzi che invece ci stanno immensamente a cuore perché sono veramente la nostra discendenza, il nostro futuro, la ragione per la quale chi si occupa di società, di giovani non può non tracciare delle vie anche nuove. Qualche giorno fa ho sentito don Antonio Mazzi affermare che dove ci sono i ragazzi ci dev'essere festa e poi anche, detto con rispetto, un discreto “casino” organizzato. Ed è un’intuizione vera perché la gioia si trova nella presenza, nello stare insieme, non nello stare lontani magari collegati on-line a determinate ore e poi, per gli effetti della pandemia, lasciati in solitudine per buona parte del giorno. Se possiamo evitarlo con questa come con altre iniziative, credo che siamo obbligati a farlo. Anzi, io spero che questo progetto non sia il solo e le istituzioni mettano a disposizione tutti i luoghi dove i ragazzi possano stare assieme in modo tale che la scuola possa divenire quasi un’istituzione allargata sul territorio, se è necessario.

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16 luglio 2020, 09:01