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Usa, proteste per la morte di George Floyd Usa, proteste per la morte di George Floyd 

Usa, Shelton Fabre: è ora di affrontare la questione razzismo

Di profonda tristezza, perché negli Stati Uniti ancora una volta ci si è confrontati con la perdita di una vita a causa del razzismo, parla nell'intervista monsignor Shelton Fabre, presidente della Commissione contro il razzismo della Conferenza dei vescovi Usa

Devin Watkins - Città del Vaticano

Negli Stati Uniti dilagano le proteste in seguito alla morte dell'afroamericano George Floyd durante l'arresto la settimana scorsa. Della situazione parla nell'intervista monsignor Shelton Fabre, vescovo di Houma-Thibodaux e presidente della Commissione contro il razzismo della Conferenza dei Vescovi degli Stati Uniti.

 

Come possiamo descrivere la situazione negli Stati Uniti, dopo questo ultimo caso di uso di violenza letale da parte di un poliziotto bianco nei confronti di un afro-americano?

R. – In questi giorni ho potuto ascoltare tante emozioni diverse che hanno attraversato mente e cuore della gente. C’è naturalmente grande pena una profonda tristezza, perché in questo Paese ancora una volta ci troviamo confrontati con la perdita di una vita a causa del razzismo. Rabbia e indignazione sono giustificati perché, ancora una volta, è incredibile che abbiamo dovuto essere testimoni della morte di un uomo afro-americano che si trovava in custodia alla polizia e assistere, ancora una volta, all’indifferenza nei riguardi di una persona che sta implorando di poter respirare. Non avere accolto questa supplica è semplicemente al di là del pensabile.

Credo anche che di fronte a questo in molti si chiedano: “Ma noi, cosa possiamo fare?”. Perché penso che le persone vorrebbero fare qualcosa. “In che modo posso aiutare? Cosa possiamo fare?”. In mezzo a tutto questo dolore, a questa lotta, all’indignazione e alla rabbia giustificata, ci sono anche persone che guardano dentro al loro cuore. Ci sono persone che dicono: “Cosa possiamo fare?”, e sono guidate dallo Spirito Santo. Ci sono tante iniziative in atto, oggi: dai disordini di piazza, che comprendono di tutto, dalla protesta – fortunatamente – pacifica ai conflitti e alle sommosse che portano alla distruzione di proprietà private, e questo noi non lo possiamo approvare. E ovviamente chiediamo la fine di questo.

Si può affermare, secondo lei, che le attuali condizioni di vita negli Stati Uniti, a partire dai lockdown e alle conseguenti graduali riaperture, dovuti alla pandemia di Covid-19, abbiano in qualche modo un peso in quello che accade in generale, nella società del Paese?

R. – Io credo che sia collegato, ma quello che voglio dire è che questa è una cosa contro la quale stiamo lottando fin dalla nascita del nostro Paese: il razzismo. Il pensiero secondo il quale le persone di una razza diversa – le persone di colore – valgano meno di me a causa della loro appartenenza razziale. Il razzismo è questo: credere che qualcuno valga meno di me perché appartiene a una razza diversa dalla mia. Non voglio attribuire quello che sta accadendo alla situazione attuale: le radici non sono nel momento attuale. Le radici di tutto questo affondano nella nostra lunga storia di tentativi di combattere in maniera costruttiva e adeguata il razzismo. Penso che la pandemia che stiamo vivendo e che ha causato il lockdown ha certamente fomentato frustrazione e rabbia giustificate. La pandemia ha rivelato la realtà “razziale”, per cui le persone di colore di questo Paese, e soprattutto gli afro-americani, sono stati colpiti in maniera particolare dal virus proprio a causa del razzismo sistemico, di tutte quelle cose che li hanno messi nelle condizioni in cui sono. Molti di loro non hanno l’assicurazione sanitaria. Molti lavorano nell’industria dei servizi, e non hanno permessi per malattia. Molti vivono in condizioni abitative che comprendono diverse generazioni, tutte insieme, e che quindi rendono impossibile il distanziamento sociale. Tutti questi aspetti di razzismo sistemico hanno versato benzina sul fuoco della frustrazione.

Quindi, direi che la mia prima risposta sarebbe “sì” e “no”. “Sì” perché vedi crescere la frustrazione a causa della pandemia e per il modo in cui la pandemia ha colpito in particolare le persone di colore nel Paese, e questa è una manifestazione di razzismo sistemico. Ma le radici della situazione attuale non sono nella pandemia: sono profonde, sono radici storiche che fanno parte del non rispetto della vita in questo Paese, e della nostra incapacità o non volontà di affrontare il tema delle razze e del razzismo.

Come la Chiesa negli Stati Uniti risponde a questa situazione, in particolare nei riguardi di alcune forme di violenza che si sono manifestate durante queste dimostrazioni?

R. – Certamente non possiamo giustificare la violenza. Noi chiediamo proteste pacifiche. Proprio in questo periodo, è stata ricordata una frase di Martin Luther King, secondo la quale una sommossa è il linguaggio di chi non è ascoltato. Mentre condanniamo fermamente la violenza nei disordini, comprendiamo la frustrazione e l’indignazione di quelle persone che si impegnano anche nelle proteste pacifiche per essere ascoltate.

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02 giugno 2020, 16:23