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Montecassino, tornano i pellegrini in un clima di gioia

L’Abbazia laziale, dove riposano le spoglie di San Benedetto e Santa Scolastica, riapre dopo i lunghi mesi di quarantena. L’abate, padre Donato Ogliari: “Soddisfazione per tornare a condividere la bellezza del carisma benedettino. La nostra preghiera? Non si è mai affievolita. Il lockdown ci ha permesso di pregare di più per i nostri fratelli e le nostre sorelle che hanno sofferto in prima persona”

Federico Piana- Città del Vaticano

L’abbazia di Montecassino sta lentamente tornando alla normalità. Il monastero, fondato da San Benedetto da Norcia nel 529 sulla sommità dell’omonimo monte laziale, ha accolto i primi pellegrini del dopo pandemia in un clima di rinnovata speranza e ritrovata serenità. Gli stessi sentimenti che l’abate, padre Donato Ogliari, sintetizza con una battuta: “E’ una normalità che non è del tutto uguale a quella che abbiamo sperimentato prima dell’arrivo del virus. Ma in profondità, lo stato d’animo prevalente è la soddisfazione di poter tornare a condividere la bellezza del nostro carisma monastico benedettino”.

Ascolta l'intervista a padre Donato Ogliari

Per infondere fiducia avete anche proposto un open-day…

R.- Il primo giugno scorso, abbiamo permesso l’accesso gratuito sia ai musei che negli altri luoghi dove è prevista una visita guidata. Lo abbiamo fatto per invogliare la gente all’ottimismo.

Qual è stata la reazione dei fedeli e dei pellegrini alla riapertura?

R.- Una reazione serena e gioiosa, soprattutto da parte di coloro i quali frequentano l’abbazia con una certa regolarità. In tutti abbiamo notato come abbiano respirato quell’aria di pace che si assapora nei nostri ambienti monastici e che aiuta a ritrovare sé stessi. Per molti, tornare a poter partecipare alle funzioni religiose della comunità monastica è stato importante.

Cosa è cambiato per l’abbazia in questo periodo così drammatico?

R.- Dal punto di vista esterno, il fatto che l’abbazia è rimasta chiusa ai pellegrini ed ai turisti: questo ha creato delle difficoltà anche dal punto di vista gestionale perché noi abbiamo diversi dipendenti per i quali nutriamo una forte responsabilità. Il confinamento ha inoltre accresciuto l’aspetto esteriore della clausura che noi monaci già viviamo normalmente. Il non avere avuto contatti con il mondo esterno per parecchio tempo c’ha permesso di apprezzare maggiormente la dimensione della solitudine; c’ha permesso di coltivare di più la nostra vita interiore e di poterci mettere maggiormente in ascolto di ciò che stava accadendo nel mondo.

Durante la quarantena, la vostra preghiera ha perso intensità?

R.- Ovviamente no. La preghiera, in una comunità monastica, continua a seguire il suo ritmo abituale, indipendentemente da ciò che avviene all’interno o all’esterno. Noi abbiamo continuato a trovarci regolarmente per la celebrazione eucaristica e per la Liturgia delle Ore, le ore di preghiera comunitaria che scandiscono la nostra giornata. Il lockdown, però, ha fatto sì che potessimo inserire qualche momento di preghiera supplementare, tenendo presente anche quello che stava capitando intorno a noi. Abbiamo pregato- e preghiamo ancora- per tanti fratelli e sorelle che hanno sofferto in prima persona. La pandemia ci ha concesso più tempo per l’orazione personale e la Lectio Divina.

Ma durante la chiusura non avete perso il contatto con i fedeli…

R.- Sì. Per farlo abbiamo utilizzato gli strumenti del web. Da anni, l’abbazia è dotata di un sito internet per cui abbiamo cercato di potenziarlo: messe in streaming, podcast, post sui canali social. Strumenti che hanno consentito di rimanere a disposizione di coloro i quali avevano bisogno di noi. A nessuno abbiamo negato la nostra vicinanza.

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08 giugno 2020, 07:00