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Militari a Baghdad Militari a Baghdad  

Iraq, cardinale Sako: il presente è scosso da raid e povertà, il futuro è incerto

Dopo gli attacchi aerei compiuti da aerei militari turchi nel nord del Paese, abitato anche da varie comunità cristiane, crescono timori e preoccupazioni per una popolazione lacerata da anni di sofferenze. Le speranze del Patriarca caldeo, il cardinale Louis Raphael Sako ai nostri microfoni

Andrea De Angelis e Amedeo Lomonaco - Città del Vaticano 

“Non abbiate paura, non abbiate paura, tappate le orecchie”. Sono queste le parole che un padre ha rivolto, in aramaico, ai propri figli nel tentativo di placarne il pianto, allontanare la paura e rendere meno spaventosi, per quanto possibile, i rumori dei bombardamenti sferrati domenica scorsa nella loro regione, il Kurdistan iracheno, dall’aviazione turca. Le parole di questo padre e il pianto dei suoi figli stanno facendo il giro dei social dopo che diversi raid hanno colpito vari villaggi, nel nord del Paese, abitati in gran parte da comunità cristiane, caldee ed assire.

Nel nord dell’Iraq, al confine con la Turchia, le nuove incursioni aeree hanno avuto come obiettivo, secondo fonti turche, postazioni del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) in territorio iracheno. Teatro dei raid è stata, in particolare, la zona nei dintorni di Zakho. In questa città, abitata da quasi 200 mila persone, in prevalenza curdi e cristiani caldei, è nato il Patriarca caldeo, il cardinale Louis Raphael Sako. In questa intervista, rilasciata a Vatican News, il porporato si sofferma sulla situazione nel Paese e in particolare sulla realtà dell'area settentrionale:

Ascolta l'intervista al cardinale Sako

R.-  Il  governo iracheno ha  adottato  misure giuste e adesso  la  sicurezza  è  migliorata.  Si  cerca  anche di  risolvere  i  problemi  legati alla situazione  economica . Ma  ci  vuole  un  miracolo. È un Paese segnato da 17  anni di divisioni. Ci sono tante cose negative. Per la Turchia, gruppi di combattenti curdi hanno le loro basi sulle montagne del Kurdistan e da qui, essendo vicini alla frontiera, sferrano attacchi in territorio turco. Questo non è un fenomeno nuovo. Ma la Turchia adesso non ha informato le autorità irachene. Gli ultimi raid anno avuto come teatro una zona più ampia e sono stati bombardati alcuni villaggi, anche cristiani. Sono morti almeno 10 civili. Non so se tra le vittime ci sia un cristiano. Ma il dato da ricordare è che sono morti cittadini iracheni. È stato anche bombardato un cimitero cristiano caldeo.

La popolazione ha più paura rispetto alle ultime settimane?

R. - Si, è una popolazione che ha sperimentato tante sofferenze, anche l’esperienza della fuga.  E questo è successo tante  volte,  non  solo  prima e dopo il periodo legato al sedicente Stato islamico. In questa regione, da diversi anni, non c’è una stabilità duratura. La gente è preoccupata. Adesso i villaggi colpiti dai raid sono stati sfollati. Sono problemi che si trascinano da anni. Ma devono essere risolti attraverso un dialogo serio e non tramite la via militare.

Soffermiamoci sull’ambito del lavoro e sull’aspetto economico. Immagino che la situazione, anche a causa della pandemia, sia peggiorata negli ultimi mesi…

R. - Si, è peggiorata perché il governo precedente ha lasciato l’Iraq senza risorse. Non c’è economia. Il nuovo primo ministro aveva promesso 300 milioni di dollari. Ma solo per pagare i salari ci vogliono almeno 5 miliardi di dollari. A causa della pandemia, aumenta poi il numero di contagiati. Mancano medici e medicine. Non ci sono soldi. Il primo ministro cerca di risolvere questi problemi, ma ci sono anche gruppi politici e partiti che durante 17 anni hanno approfittato della situazione: sono state rubate risorse. L’avvenire dell’Iraq non è chiaro. Ma speriamo che, con il nuovo governo, si prendano misure giuste. Anche il fronte della pandemia è molto grave. Finora, a causa del coronavirus, sono morti almeno 7 cristiani ma ci sono vari casi di contagio nelle case e negli ospedali. Anche un prete copto ortodosso e un pastore protestante sono stati contagiati. Noi seguiamo e aiutiamo queste famiglie che hanno anche perso il lavoro. Molte famiglie da 3 mesi vivono in una situazione di isolamento. Noi portiamo aiuti tramite i nostri preti.

I timori per la sicurezza e per le difficoltà economiche riguardano, dunque, anche la comunità cristiana in Iraq…

R.- Noi siamo una parte del mosaico iracheno. Non cerchiamo privilegi o prestigio. Ci sono alcune leggi discriminatorie, ma possiamo risolvere tutto questo. Questo scenario difficile riguarda tutta la popolazione. Anche nel sud del Paese la situazione resta grave.

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23 giugno 2020, 12:21