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La Chiesa italiana rilancia gli oratori nell’estate della pandemia

Il responsabile Servizio per la pastorale giovanile della Cei, don Michele Falabretti, in vista della riapertura delle attività formative ecclesiali, le rilegge alla luce della situazione socio-sanitaria attuale : “I ragazzi -dice- imparino a affrontare l’epidemia di Covid-19 con responsabilità e solidarietà. La Chiesa collabori con le autorità locali"

Fabio Colagrande - Città del Vaticano 

La Chiesa italiana considera le norme di sicurezza sanitaria al tempo del Covid-19 un potenziale laboratorio educativo per i più giovani. Le attività formative ecclesiali, tradizionalmente svolte dalle parrocchie, dagli oratori, dalle realtà legate alla vita consacrata e associativa, diventano perciò in quest’estate dell’anno della pandemia un’occasione importante per cambiare lo stile della presenza sul territorio attivando reti di lavoro e di comunione anche extra-ecclesiali. Il progetto per rilanciare gli oratori estivi si chiama significativamente “Aperto per ferie” ed è stato illustrato in un documento pubblicato a fine maggio e presentato recentemente con un seminario on-line dal Servizio nazionale per la pastorale giovanile.

Un nuovo progetto

Elemento centrale è prendere in carico l’epidemia, perché i ragazzi imparino a conoscerla e affrontarla con responsabilità e con solidarietà, ma di fondo c’è soprattutto il rilancio dell’oratorio come luogo di formazione alla vita, non del tempo libero. Lo ha confermato ai microfoni di Radio Vaticana Italia, don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile della Conferenza episcopale italiana.

Ascolta l'intervista a don Michele Falabretti

R.- Molte sono le domande del territorio, di chi si occupa di pastorale giovanile: di parroci, di preti, di laici, di religiosi e religiose che dovendo organizzare un'attività del genere in questo momento devono avere delle attenzioni in più, delle attenzioni diverse. Questo non è facile ma non è nemmeno impossibile. Noi non possiamo sognare di lavorare sempre nelle condizioni ideali, in particolare quest'anno la fatica è evidente a tutti. Però è un’occasione per dire che come Chiesa ci siamo e siamo ancora convinti che l'azione educativa debba essere una questione che ci sta davvero a cuore.

Uno dei temi del percorso educativo di quest'anno sarà la presa in carico dell'epidemia… In che senso?

R.- Credo che dobbiamo innanzitutto prenderci in carico le persone. Penso in particolare alle famiglie che stanno vivendo questa fatica di dover tornare a una vita che noi definiamo “normale”, anche se poi fino a che punto sarà normale non lo so. Ma penso soprattutto ai bambini e ai ragazzi che hanno vissuto questa segregazione con fatica e portandosi dietro dei segni. Perciò poter tornare alla socialità significa recuperare anche un po' di salute mentale che è un aspetto molto importante nella crescita delle persone.

Il progetto “Aperto per ferie” si basa sull'idea dell’oratorio come luogo di formazione alla vita, non solo luogo dove passare il tempo libero…

R.- Ecco quest’ultimo è un concetto che io non ho paura a definire vecchio e sbagliato, perché l'oratorio non nasce come luogo del tempo libero. Non lo so perché ma nel nostro immaginario, negli anni ’70 e ’80, è diventata un'esperienza da tempo libero. Mentre invece è nato, ed è sempre stato e deve tornare ad essere, un luogo di educazione alla vita, all'umano. Perché nella nostra dimensione umana c’è anche la dimensione della fede. Ora noi non possiamo dire: io ti educo alla fede e per il resto rivolgiti a qualcun altro. Ma piuttosto: io ti educo alla vita dentro la quale c'è il Signore che ti parla. Questa è la convinzione di fondo che deve portare l'oratorio a essere non un luogo del tempo libero ma un luogo di vita e di educazione alla vita. Le azioni che vi si svolgono, anche se sono azioni che toccano il tempo libero da altri impegni come la scuola e il lavoro, sono azioni impegnative di vita, di educazione. Quindi il tempo libero non c'entra nulla, c'entra proprio l'atteggiamento educativo che alla Chiesa è sempre stato a cuore e continua a stare a cuore.

 La domanda chiave è come far sì che siano rispettati i protocolli di sicurezza sanitaria e questo ha a che fare anche con il dialogo con le varie regioni italiane…

R.- Innanzitutto, noi non dobbiamo interpretare le norme sul distanziamento fisico o i protocolli sanitari come regole che ci impediscono di fare delle cose importanti che ci stanno a cuore. Se l’oratorio è un luogo di educazione alla vita quest'estate è importante che noi accettiamo questo gioco, assumiamo l'emergenza del virus e la rileggiamo. Educare i bambini, i ragazzi adolescenti al rispetto di sé stessi, alla cura del proprio corpo e al rispetto degli altri, attraverso l'osservanza delle norme che ci vengono date, è infatti un aspetto educativo importante. Non leggiamo le norme di sicurezza sanitaria come una tassa da pagare ma piuttosto come un laboratorio educativo.

Per quanto riguarda i rapporti con le istituzioni c’è chi considera le attività dell’oratorio come realtà ecclesiali nelle quali gli altri non devono entrare, perché non hanno voce in capitolo…

R.- Secondo me questo è un concetto sbagliato in genere. Ci sono infatti cose che riguardano strettamente la chiesa, come le attività che riguardano il culto, la religione e le attività catechistiche. Ma l'oratorio poi spazia e si apre ad attività che richiedono il dialogo con il territorio. Da una parte perché noi non siamo l'unica agenzia educativa e poi perché noi non ci concepiamo come un pezzo di società staccata dagli altri. La Chiesa vive dentro al mondo e rimane quindi costantemente in dialogo con le regole del mondo e con le regole che le istituzioni ritengono e decidono di dare. Questo vuol dire che non dobbiamo aver paura di presentare i nostri progetti alle autorità locali affinché ci sia un lavoro di corresponsabilità, un confronto e perché attraverso questo confronto noi possiamo crescere nel rispetto delle norme e delle leggi della società. Ma nello stesso tempo possiamo aiutare anche la società, il mondo, a capire che il nostro progetto è un progetto buono. Lo riteniamo buono? Benissimo: raccontiamolo e condividiamolo perché condividerlo sicuramente non sminuirà la bontà di quello che stiamo facendo.

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19 giugno 2020, 07:57